In memoria di Nicola di Paolo
DOI:
https://doi.org/10.33393/gcnd.2025.3565Mi trovo incredibilmente a scrivere ancora del Prof. Nicola Di Paolo, così a breve distanza dal mio editoriale, che lo ricordava come creatore, insieme a Umberto Buoncristiani, di questo Giornale, per una motivazione molto triste.
La mattina dopo l’invio dell’editoriale ad amici e conoscenti del Professore e del Giornale, Luigi Capotondo mi ha avvertito che Nicola proprio la stessa sera, non ce l’aveva fatta a superare un arresto cardio-respiratorio e ci aveva lasciati.
Chi ha conosciuto Nicola sa benissimo che non è possibile mettere per iscritto una sua descrizione, a meno di non essere dei poeti o degli scrittori professionisti di storie di vita vissuta, di aneddoti incredibili, di sentimenti vivi, di voglia di vivere e di far vivere avventure scientifiche, di medicina e anche di nefrologia, di voglia di sperimentare ed inventare, di scoprire e soprattutto di capire.
Ho conosciuto Nicola di Paolo negli anni ’80 in quel ‘museo’ dell’ospedale S. Maria della Scala a Siena, dove potei apprezzare il contrasto stridente tra un uomo moderno sotto tutti i punti di vista (amava circondarsi di giovani per dare loro la possibilità di crescere proprio come in un atelier rinascimentale) ed un ambiente, appunto, rinascimentale. Questo contrasto stridente tra un ambiente quasi sacrale ed un piccolo uomo del futuro faceva trattenere il respiro, ogni momento in attesa di una rivelazione … che, immancabilmente, ad ogni incontro, arrivava!!
Lo ricordo sempre con i suoi ascot colorati, ma sempre molto eleganti, ed in totale sintonia con il suo stile personalissimo.
Lo ricordo con quel sorriso quasi sardonico e quella luce negli occhi in un perpetuo brillare di nuove invenzioni, scoperte, idee, cose da fare provare e - sempre e soprattutto - capire.
Dietro a quella luce particolare, assieme al suo sorriso ed al suo modo di parlare si poteva chiaramente intravedere un uomo di una curiosità infinita, quasi incontenibile nella voglia di scoprire per andare oltre e cercare, soprattutto sperare di non fermarsi mai.
E invece mi riesce quasi impossibile pensare che Nicola si sia dovuto fermare. La sua malattia gli aveva impedito, nonostante abbia conservato sino in fondo una lucidità mentale completa, di continuare a studiare e creare, come avrebbe voluto (e che nonostante tutto ha sempre cercato di fare). La malattia che lo obbligava, fisicamente, a fermarsi mi è sembrata quasi una maledizione divina, mandata a chi troppo aveva osato rispetto ad una entità creatrice, e a chi aveva cercato di fare troppo rispetto ai comuni mortali.
Nicola mancherà sempre a chi lo ha conosciuto (ed io l’ho conosciuto poco rispetto a tanti altri colleghi) e a chi può vantarsi di averlo preso ad esempio, come l’insegnamento di un maestro per certi versi straordinariamente facile e per altri straordinariamente difficile.
Umano, certamente molto umano, in tutte le accezioni buone e meno del termine, una persona la cui conoscenza, per chi ha potuto, è stata una grandissima fortuna, una persona che a suo modo ha dato moltissimo alla nefrologia italiana.
Ciao Nicola, grazie di tutto e soprattutto di essere esistito.
Marco Lombardi
Former Editor in Chief
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