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Glob Reg Health Technol Assess 2021; 8: 134-139

ISSN 2283-5733 | DOI: 10.33393/grhta.2021.2286

POINT OF VIEW

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Real-world data: come possono aiutare a migliorare la qualità dell’assistenza

1Centro Nazionale “Healthcare Research & Pharmacoepidemiology”, Milano and Dipartimento di Statistica e Metodi Quantitativi, Università di Milano Bicocca - Italy

2Market Access Gilead Science SRL, Milano - Italy

3Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano - Italy

4Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università degli studi di Bologna - Italy

5Dephaforum, Milano - Italy

6Centro di medicina personalizzata: Asma e Allergologia, Istituto Clinico Humanitas, Milano -Italy

7IRCCS Istituto Oncologico Veneto, Padova - Italy

8Health Economics and Market Access, Janssen-Cilag SPA, Milano - Italy

9Value and Access Head, Sanofi, Milano - Italy

10Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi “La Statale” di Milano - Italy

11Centro Studi ANMCO, Firenze - Italy

12IRCCS Istituto Clinico Humanitas e Humanitas Research University, Milano - Italy

13Ufficio attività di analisi e previsione, Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Roma - Italy

14Federazione Italiana Medici di Famiglia (F.I.M.M.G), Roma - Italy

15Regione Toscana ed ESTAR Toscana, Firenze - Italy

16Clinica Neurologica, Dipartimento Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi di Brescia - Italy

17Unità Operativa di Ematologia, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo - Italy

18Dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma - Italy

19Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO), Roma - Italy

20C.R.E.A. Sanità, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma - Italy

21Government, Health and Not for Profit division, Università Bocconi, Milano - Italy

22Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano - Italy

Real-world data: how they can help to improve quality of care

The current COVID pandemic crisis made it even clearer that the solutions to several questions that public health must face require the access to good quality data. Several issues of the value and potential of health data and the current critical issues that hinder access are discussed in this paper. In particular, the paper (i) focuses on “real-world data” definition; (ii) proposes a review of the real-world data availability in our country; (iii) discusses its potential, with particular focus on the possibility of improving knowledge on the quality of care provided by the health system; (iv) emphasizes that the availability of data alone is not sufficient to increase our knowledge, underlining the need that innovative analysis methods (e.g., artificial intelligence techniques) must be framed in the paradigm of clinical research; and (v) addresses some ethical issues related to their use. The proposal is to realize an alliance between organizations interested in promoting research aimed at collecting scientifically solid evidence to support the clinical governance of public health.

Corresponding author:
Giovanni Corrao
Università degli Studi di Milano Bicocca
Via Bicocca degli Arcimboldi 8
20126 Milano - Italy
giovanni.corrao@unimib.it.

Global & Regional Health Technology Assessment - ISSN 2283-5733 - www.aboutscience.eu/grhta

© 2021 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).

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Introduzione

Questo articolo propone i contenuti più rilevanti emersi da due gruppi di lavoro, che hanno svolto la loro attività nell’ambito della terza edizione dei Seminari di Mogliano Veneto(5)-6 novembre 2020), con un taglio focalizzato sul valore e sulla potenzialità (non ancora pienamente espressa) dei dati sanitari.

La crisi sanitaria innescata dall’emergenza COVID ha messo in evidenza che le soluzioni a molti dei difficili problemi che la sanità pubblica deve affrontare richiedono l’accesso a dati di buona qualità.

La pandemia da SARS-CoV-2 si è innestata in territori e popolazioni con caratteristiche sanitarie, demografiche, sociali ed economiche assai eterogenee, con, al centro del sistema, la cronicità e la sua gestione.

Cronicità e coronavirus sono fortemente correlati per almeno tre motivi:

1) rispetto ad altri individui, i pazienti con malattie croniche quasi di ogni organo o sistema sono a maggior rischio di sviluppare forme gravi o letali di COVID-19(1-6);

2) le limitazioni imposte durante l’emergenza riducono fortemente l’accesso ai cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e ciò coinvolge in particolare i pazienti affetti da malattie/condizioni croniche. Sono ormai disponibili dati che mostrano che il COVID-19 è associato a un frequente aggravamento di queste condizioni e a un cospicuo incremento della loro letalità (7-10);

3) il fenomeno descritto come “Long COVID Syndrome” può generare nuovi pazienti cronici, visto che molti pazienti dimessi con diagnosi di COVID-19, soprattutto se sottoposti a intubazione durante il ricovero indice, mantengono gravi deficit funzionali e sviluppano disturbi cognitivi e problemi psichiatrici di durata prolungata (11,12).

La diffusione epidemica è fortemente condizionata dagli aspetti organizzativi del sistema sanitario su cui si è abbattuta (13). Per esempio, l’eccessivo carico sulle terapie intensive, sui Pronto Soccorso e sui posti letto ospedalieri colpisce particolarmente le Regioni in cui l’integrazione tra medicina di base territoriale e specialistica ha trovato più difficoltà di realizzazione. In altri termini, l’organizzazione del sistema sanitario nel suo complesso, il funzionamento dei singoli servizi e la loro integrazione funzionale sono condizioni necessarie, ma non sufficienti, per mettere l’intero sistema nelle condizioni di affrontare adeguatamente sia la gestione del paziente cronico che lo shock emergenziale di fenomeni epidemici (14). Di interesse, a questo proposito, l’articolo di Richard Horton, apparso il 26 settembre scorso su Lancet, “COVID-19 is not a pandemic”, in cui l’autore sostiene che l’approccio nella gestione della diffusione, ma, soprattutto, del trattamento della malattia, non abbia prodotto i risultati sperati perché la crisi è stata affrontata focalizzando unicamente l’attenzione sul SARS-CoV-2 e sulle sue implicazioni cliniche, piuttosto che con un “approccio sindemico” (ovvero le conseguenze sulla salute delle interazioni tra le patologie e i fattori sociali, ambientali o economici che promuovono tale interazione e peggiorano la malattia) (15).

Queste considerazioni hanno alcune implicazioni rispetto non solo alle priorità, ma anche alla natura degli interventi strutturali o di sistema che meglio potrebbero combattere la pandemia attuale e affrontare eventuali pandemie future. Per esempio, il processo di presa in carico del paziente, anche attraverso la predisposizione di piani terapeutici che rispondano a specifici bisogni assistenziali del paziente (personalized healthcare), rimane tuttora uno slogan che ognuno declina in base alle proprie competenze (1). Alcuni enfatizzano il bisogno di ricorrere ai percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali (PDTA), con tutto ciò che questo comporta, anche in termini di integrazione tra i servizi (2). Altri sottolineano che la pianificazione dei PDTA non ha alcuna possibilità concreta di modificare i percorsi di cura, fino a quando non si riconsideri il sistema nel suo complesso, compreso il superamento dei rimborsi delle singole prestazioni (3). Altri, infine, ritengono che il cambio del paradigma assistenziale da solo non basti. Dobbiamo chiederci se quanto pianificato (il decreto che istituisce a livello regionale quel PDTA) si stia realizzando secondo quanto previsto e, soprattutto, analizzare le implicazioni/l’impatto che il cambiamento genera sulla salute dei cittadini, sulla riduzione degli esiti clinici che l’aderenza al percorso dovrebbe evitare (per esempio, ospedalizzazioni) e sui costi che il sistema deve sostenere.

Ma, per muoversi con profitto in questa direzione, abbiamo bisogno di ripensare il sistema di produzione dei dati sanitari “correnti”, organizzandolo in modo che sia funzionale a intervenire sia in situazioni di emergenza che nella gestione della sanità in condizioni non emergenziali. Ciò significa anche stabilire le norme che regolano l’accesso e l’analisi dei dati, adattandole alle buone pratiche della ricerca clinica e prevedendo un contesto nel quale possa cambiare il sistema di acquisizione dei dati, senza che ne risultino indeboliti i paradigmi alla base della buona ricerca.

Dobbiamo, cioè, poter contare su dati:

i) di qualità, anche senza pretendere i livelli richiesti nell’ambito dei trial clinici;

ii) tempestivi e con una dimensione temporale dipendente dall’emergenza degli interventi richiesti;

iii) accessibili, pur tenendo presente che l’accessibilità al dato grezzo ha oggettive limitazioni normative e che i suoi effetti sono fortemente legati alla competenza dei fruitori;

iv) verificabili da eventuali audit esterni.

Solo la disponibilità di dati di questo tipo può essere in grado di generare conoscenze che risultino funzionali alla scelta delle modifiche di sistema più appropriate, riducendo il rischio e l’incertezza insiti in ogni processo decisionale.

Cosa intendiamo per dati dal mondo reale?

Le agenzie regolatorie offrono una definizione molto ampia di dati dal mondo reale (real-world data, RWD), escludendo da questi ultimi i dati generati dalle sperimentazioni cliniche convenzionali, ma includendo quelli prodotti da varie fonti quali le cartelle cliniche elettroniche (electronic health records, EHR), i database delle compagnie di assicurazione, i registri di patologia e dei trattamenti e i dati generati direttamente dai pazienti e da altre fonti (che possono informare sul loro stato di salute, come i dispositivi mobili) (16). In questo contesto, dovrebbero essere considerati dati dal mondo reale: sia quelli generati da studi non randomizzati, specificatamente disegnati per saggiare un’ipotesi di ricerca clinica (per esempio, uno studio di coorte che confronti l’efficacia relativa di due percorsi terapeutici), sia quelli generati da sistemi di raccolta dati disegnati per fini diversi rispetto a quelli della ricerca clinica (fonti secondarie). Pur riconoscendo il ruolo fondamentale dei primi (ovvero degli studi primari) nella generazione di evidenze, in questo articolo enfatizzeremo il ruolo dell’integrazione delle cosiddette fonti secondarie, come strumento in grado di colmare molti bisogni conoscitivi in modo efficiente. Tra queste, i cosiddetti flussi correnti regionali, in particolare, necessitano di essere valorizzati.

Ogni volta che riceve una prestazione dal sistema sanitario, ognuno di noi lascia un’impronta che viene raccolta in appositi database. L’Italia dispone, per ogni Regione, di dati di questo tipo (definiti semplicisticamente come dati amministrativi, ma, in effetti, meglio descrivibili con la terminologia internazionale di Healthcare Utilization Database (17,18)) in modo più completo e da più lungo tempo che in molti altri Paesi. Ciò consente al nostro Servizio Sanitario di rimborsare gli enti che erogano le prestazioni sanitarie, attraverso un sistema automatizzato che registra tutte le prestazioni da rimborsare. Dal momento che, oltre al codice della prestazione erogata, viene registrato anche il codice identificativo di chi la riceve, questo sistema consente di ricostruire la sequenza dei contatti con le strutture del Servizio Sanitario di ogni beneficiario. Tutto questo garantisce il funzionamento del sistema, ma è del tutto intuitivo che rappresenta anche una fonte preziosa di dati, su cui impostare e condurre ricerche su vari importanti aspetti della realtà sanitaria del Paese.

I dati ora descritti, gestiti a livello regionale, ma trasmessi e disponibili anche a livello nazionale (Ministero della Salute e, in parte, Economia e Finanza), rappresentano un parziale, ma irrinunciabile, tassello del variegato mondo sanitario reale. La pratica clinica può essere ben descritta, monitorata e valutata, anche ricorrendo ad altre fonti strutturate (per esempio, reti di medici di medicina generale per il monitoraggio delle attività di medicina primaria, registri di patologia e dei farmaci) e non strutturate (per esempio, immagini radiologiche, analisi di laboratorio, cartelle cliniche in forma testuale, dispositivi indossabili). In sintesi, un mondo che si sta avviando a una sempre più intensa digitalizzazione ci mette a disposizione un’immensa quantità di dati in formato elettronico, che spesso, purtroppo, provengono da fonti scarsamente collegabili tra loro. Si considerino, per esempio, gli aspetti legati alla problematica del trattamento dei dati personali sanitari. È atteso che l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali e gli uffici legali delle istituzioni che gestiscono i dati pongano una particolare attenzione alla minimizzazione del rischio che l’identità del singolo e le informazioni sanitarie che lo riguardano siano svelate, limitando la possibilità di integrare dati provenienti da diverse fonti.

A cosa servono i dati dal mondo reale?

Un modo per intuire l’enorme valore conoscitivo dei dati dal mondo reale è legato al semplice paradigma che ne sta alla base: indaghiamo sul passato per curare meglio nel futuro. Se opportunamente trattati, questi dati ci informano su molteplici aspetti di diagnostica e terapia, non affrontabili da metodologie di ricerca più tradizionali e strutturate: le procedure impiegate per identificare le malattie, la natura e l’osservanza dei percorsi assistenziali raccomandati dalle Linee Guida, nonché i costi sostenuti dal SSN. A ciò si aggiunge la possibilità di valutare l’evoluzione delle varie situazioni nel tempo e le loro devianze geografiche, oltre che di identificare le disuguaglianze e i bisogni di salute insoddisfatti, i cosiddetti “unmet needs”. È anche possibile, mediante un appropriato uso di questi database, valutare fenomeni di grande impatto clinico ed economico, quali l’aderenza alla terapia e l’inerzia terapeutica, mal quantificabili da ricerche non basate sulla vita reale. Abbiamo, in altri termini, la possibilità, tramite queste banche dati, di trasferire al processo decisionale (del singolo cittadino, del singolo medico, ma anche del cosiddetto policy maker) conoscenze in grado di innestare un processo virtuoso di miglioramento della qualità delle cure.

Nel contesto della pandemia da COVID-19, i RWD rappresentano un utile strumento per la gestione dell’emergenza sanitaria che ne è conseguita. Essi offrono l’opportunità di verificare il profilo clinico dei cittadini che hanno sviluppato forme severe di infezione da coronavirus e di collocare ognuno in una scala che ne definisce il rischio di evoluzione e, quindi, la priorità nell’offerta di protezione vaccinale. Stesso discorso per la terapia basata su anticorpi monoclonali, di impossibile applicazione universale per il costo elevato, ma sicuramente fruibile, nelle fasi precoci dell’infezione COVID-19, per soggetti ad alto rischio di evoluzione verso forme severe o morte, che potrebbero essere identificati grazie ai dati sopra ricordati (19).

Sempre con riferimento al Covid-19, tutti ricordano che, nei primi giorni dell’esplosione dello shock epidemico (febbraio 2020), la comunità medica si è interrogata sull’opportunità di mantenere il trattamento degli ipertesi con sartani e ACE inibitori, visto che ipotesi basate su modelli sperimentali avevano messo in guardia sulla possibilità che questi farmaci potessero aumentare il rischio delle sue manifestazioni severe. La ricerca osservazionale ha, in quel caso, consentito di dimostrare, soprattutto attraverso l’uso di dati dal mondo reale, l’estraneità di questi trattamenti al processo di aggravamento clinico (20,21).

In sintesi, la pandemia ha reso palese che i dati dal mondo reale hanno un enorme valore intrinseco, non solo per la qualità delle nostre conoscenze, ma anche per la ricerca traslazionale, i cui risultati hanno significative ricadute sulla qualità del sistema sanitario e delle cure che garantisce.

Le esperienze sopra riportate sottolineano l’importanza dei dati non solo nel contesto emergenziale, ma anche nella gestione routinaria dei sistemi sanitari, con rilevanti miglioramenti per esempio nella gestione della cronicità. Ciò che dobbiamo valutare non sono solo i singoli presidi terapeutici, ma l’intero percorso assistenziale sperimentato da ogni singolo paziente rispetto a quello atteso. Quest’ultimo (PDTA) è lo strumento di governo clinico che permette di delineare, rispetto a una patologia o a un problema clinico, il miglior percorso praticabile all’interno della propria organizzazione e della rete in cui essa è inserita (22,23). La stesura dei PDTA comporta due problemi. Primo: la messa a punto di un PDTA è, il più delle volte, basata su deboli livelli di evidenza scientifica, perché studi clinici randomizzati di alta qualità non sono sempre disponibili. A volte, non vi sono neppure studi osservazionali di qualità adeguata e i PDTA si basano soprattutto sull’esperienza/opinione di esperti autorevoli. Secondo: il paradigma della generalizzabilità delle evidenze, al quale comunemente facciamo riferimento nella ricerca clinica, è particolarmente debole nel contesto dei PDTA. Il riferimento al “miglior percorso praticabile all’interno della propria organizzazione” sottintende che il processo valutativo al quale stiamo pensando necessita di essere applicato e adattato a contesti organizzativi diversi. Tenendo conto di questi punti di vista, appare irrealistico immaginare di valutare il funzionamento dei PDTA attraverso un approccio sperimentale. Piuttosto, il potenziamento dell’uso dei dati ricavabili da fonti alternative (in particolare i dati relativi al mondo reale) appare come una valida opzione da percorrere e valorizzare (24). Dobbiamo, in altri termini, mettere a punto un metodo che supporti il decisore nelle scelte e mettere a sistema un processo capace di monitorare e valutare i processi di erogazione delle cure e dei sistemi organizzativi che li sostengono. In altri termini, auspichiamo che il sistema venga messo nelle condizioni di misurare se sta procedendo nella direzione disegnata (monitoraggio). Inoltre, abbiamo bisogno di misurare gli esiti generati dai percorsi sperimentati dai pazienti, di identificare le caratteristiche dei singoli erogatori e l’integrazione tra gli stessi, per ottimizzare sicurezza, efficacia e costi, e di sperimentare sistemi di rimborso dei percorsi assistenziali che prescindano dalle singole prestazioni. In sintesi, abbiamo bisogno di mettere a sistema un processo di valutazione che, basandosi sull’esperienza passata dei pazienti in termini di cure ricevute e di esiti, sia in grado di produrre evidenze “credibili” sul modo migliore per trattare i pazienti nel futuro. Per andare in questa direzione non servono soluzioni sofisticate, ma è semplicemente necessario disporre di dati tratti dal mondo reale e di metodi robusti in grado di estrarne il contenuto informativo.

Discussione e proposta

a) In che modo e a quali condizioni i dati dal mondo reale possono aiutarci a curare meglio?

Come è noto, i trial clinici pre-registrativi non possono esaurire/concludere il percorso di studio sui nuovi trattamenti. La ricerca osservazionale è, in questo contesto, fondamentale, ma sempre più difficile da condurre.

Un mito da sfatare risiede nella diffusa convinzione che la disponibilità dei dati sia da sola sufficiente per accrescere le nostre conoscenze. Proviamo a richiamare alcuni principi etici ai quali una comunità come la nostra deve attenersi (25).

Il primo principio, che potremmo annoverare nell’ambito della cosiddetta etica individuale, si traduce in una serie di norme tese a garantire che il singolo cittadino sia tutelato dai rischi conseguenti alla ricerca scientifica. Nel caso di dati di popolazione come quelli ai quali ci stiamo riferendo, è del tutto impensabile che al cittadino venga richiesta l’autorizzazione a utilizzare i dati, per esempio, sui farmaci che ha ritirato in farmacia. La tutela dovuta al cittadino si realizza, quindi, con la garanzia che la sua identità non sia svelata a chi analizza i dati stessi. La normativa europea, puntualmente adottata dalla nostra legislazione, regola questi aspetti e il nostro garante per la privacy è assai attento a garantirne l’applicazione.

C’è, però, un secondo vincolo da salvaguardare, che non è altrettanto dibattuto e che, anzi, è spesso dimenticato. Questo vincolo è basato sulla cosiddetta etica collettiva, nel nostro caso sull’avanzamento della conoscenza finalizzata al continuo miglioramento delle cure.

Il diritto deve sempre basarsi sull’equilibrio tra questi due principi. La protezione del singolo individuo è da salvaguardare. Ma anche l’etica collettiva è un valore, vale a dire che al cittadino dovrebbe essere garantito che i dati che lo riguardano vengano utilizzati per migliorare le conoscenze direttamente rivolte a curare in modo sempre più adeguato chi si ammalerà in futuro della sua stessa malattia. L’esercizio di questo principio, tuttavia, dovrebbe misurarsi con altre garanzie. La più importante è che i risultati della ricerca consentano di migliorare le nostre conoscenze.

“Buttando l’amo nel pescosissimo mare dei dati dal mondo reale” qualcosa riusciremo quasi sempre a pescare (26). Ma noi non stiamo cercando correlazioni statistiche, bensì associazioni indipendenti, che ci aiutino a migliorare il sistema. Come possiamo identificare tra le innumerevoli correlazioni quelle causali? È intuitivo che questa risposta non può derivare “solo” dalla complessità dell’algoritmo, vale a dire dall’uso di modelli sempre più sofisticati di apprendimento automatico (26).

Sulla base di quanto detto sopra, andrebbe fatta qualche riflessione sulla tendenza attuale, che punta a superare il paradigma della ricerca clinica, sacrificandolo a un’illimitata fiducia nella sofisticatezza tecnologica (27-29). I problemi che stiamo affrontando necessitano di metodologie innovative, ma a condizione che siano inquadrate nel paradigma della ricerca clinica. Come sempre, solo dall’integrazione tra saperi e metodi abbiamo qualche speranza di produrre una conoscenza corretta, utile e innovativa (30).

b) Prospettive

Sulla base delle considerazioni qui espresse, è evidente come le prospettive proposte in questo articolo debbano riguardare e avere come protagonista la comunità scientifica. Le Società o Associazioni che, richiamandosi al metodo scientifico, operano nei diversi ambiti disciplinari dovrebbero fare uno sforzo per porsi all’interlocutore istituzionale come un unico soggetto, limitando, magari, il loro campo operativo agli ambiti che considerano il dato come irrinunciabile elemento di partenza, per avviare il processo decisionale (31). Questa sinergia non dovrà essere limitata alle Società o alle Associazioni mediche. Da un anno a questa parte, statistici, biostatistici, epidemiologi, fisici, matematici, sistemisti, informatici e ingegneri di diversa natura ed estrazione (per non dimenticare i data scientist) sono intervenuti con contributi spesso importanti e specifici nella raccolta di evidenze sul Covid-19 necessarie alla costruzione di una visione integrata.

Ma, in un periodo come quello che stiamo vivendo, tutto questo non basta. Abbiamo bisogno di accelerare il processo e, in questo, il dato scientifico è, di per sé, un volano di enorme importanza, se di qualità e adeguatamente trattato. In un contesto nel quale l’esito di ogni decisione è particolarmente incerto, la valutazione (ovvero la risposta alla domanda “è sicuro, utile e sostenibile quello che sto per mettere in atto?”) è fondamentale. Dati da raccogliere, dati per conoscere, dati per valutare, dunque.

La nostra idea/proposta è di consolidare un’alleanza, nel caso specifico un’Alleanza per la RicerCA con dati sanitari in Italia (ARCA), immaginandola, per ora, come un tavolo che le Società Scientifiche decidono di istituire con l’intento di supportare le Istituzioni nel loro difficile compito di decidere. Sarà, per questo, indispensabile unire le competenze e facilitare il partenariato tra organizzazioni interessate a favorire la ricerca finalizzata alla raccolta di evidenze scientificamente solide di supporto al governo clinico della sanità pubblica. Servirà un approccio etico, rispettoso delle norme per la tutela della privacy e attento alle buone pratiche della ricerca in questo campo. Il primo obiettivo delle società scientifiche riunite potrebbe essere una richiesta congiunta al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni (all’ISTAT?) di istituire un tavolo di confronto per stabilire mandato, struttura e composizione di ARCA.

La proposta

  • Documentazione della rilevanza e delle potenzialità inespresse dei dati sanitati (database regionali)
  • Creazione di una collaborazione operativa fra società scientifiche ad ampio spettro disciplinare (medicina, statistica, matematica, bioinformatica ecc.), focalizzata sulle evidenze emergenti dai dati sanitari: “ARCA”
  • Realizzazione di un seminario di studio a porte chiuse, per l’elaborazione di un’agenda di lavoro da proporre al Ministero della Salute
  • Richiesta al Ministero della Salute di istituire un tavolo di confronto, con un accordo di programma concreto e fattibile, che valorizzi i dati sanitari
  • Avviare attività di valutazione dei processi sanitari e di individuazione di unmet needs prioritari
  • Rispetto della privacy e dei diritti che tutelano con un equilibrio appropriato l’etica individuale e sociale

Disclosures

Conflict of interest: GA, GA, GB, PC, EC, FD, CLV, MM, WM, AM, AP, WR, FRdM, FS and VT have nothing to declare. AA received personal fees and/or grants from BMS, MSD, Roche, Astra Zeneca, Eli-Lilly, Takeda e Bayer. GWC received personal fees and/or grants from A. Menarini, Alk-Abelló, Allergy Therapeutics, AstraZeneca-Medimmune, Boehringer Ingelheim, Chiesi Farmaceutici, Genentech, Guidotti-Malesci, Glaxo Smith Kline, Hal Allergy, Merck Sharp & Dome, Mundipharma, Novartis, Orion, Sanofi-Aventis, Sanofi Genzyme/Regeneron, Stallergenes-Greer, Uriach Pharma, Teva, Valeas, ViforPharma. GC received personal fees and/or grants from the European Community, AIFA, Ministeri dell’Università e Ricerca (MIUR), Novartis, GSK, Roche, AMGEN, BMS, Roche. APM received personal fees and/or grants from Bayer, Fresenius, Novartis. GM received personal fees and/or grants from Astra Zeneca, Boehringer Ingelheim, Daiichi Sankyo, Medtronic, Menarini, Merck, Novartis, Recordati, Sandoz, Sanofi, Servier. AM received personal fees and/or grants from Ventana, Pierre Fabre, Verily, Abbvie, AstraZeneca, Verseau Therapeutics, Compungen, Myeloid Therapeutics, Third Rock Venture, Imcheck Therapeutics, Ellipses, Novartis, Roche, Macrophage Pharma, Bioveloclta, Merck, Principia, BMS, Johnson & Johnson. Declares commercial interest in Cedarlane Laboratories Ltd, HyCult Biotechnology, eBioscience, Biolegend, ABCAM PIc, Novus Biologicals, Enzo Life, Affymetrix. AR received personal fees and/or grants from Amgen, Pfizer, Sanofi, Novartis, Kite-Gilead, Celgene-BMS, Jazz, Omeros.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

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