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G Clin Nefrol Dial 2024; 36: 36-40

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2024.3065

ORIGINAL RESEARCH ARTICLE

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Sostenere il percorso in una patologia complessa: il ruolo dello psicologo nella gestione multidisciplinare della malattia del rene policistico

1Servizio di Psicologia Clinica e della Salute, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

2U.O. Nefrologia e Dialisi, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

3U.O. Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

4Università Vita-Salute San Raffaele, Milano - Italy

5Unità di Genomica delle Malattie Renali e dell’Ipertensione, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

6Unità di Genomica per la Diagnosi delle Malattie Umane, Divisione di Genetica e di Biologia Cellulare, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

7Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano - Italy

Supporting complexity: the psychologist’s role in multidisciplinary management of polycystic kidney disease

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most common genetic kidney disease. It is characterized by the formation of cysts in kidneys. This condition has a significant impact on people’s lives. It causes not only physical suffering but also psychological suffering. People with ADPKD may experience psychological distress, depending on their personal and health conditions. The inability to accept or adapt to the disease and its resulting changes causes individuals difficulties that appear in different levels of their lives: intrapersonal, interpersonal, social, and occupational.

In the context of ADPKD, the psychologist is involved both at clinical and research levels. The psychologist has a crucial role in supporting patients by assessing how they react to the disease, to its related limitations, and to the resulting disabilities.

The proposal of psychological support, considered as an intervention instrument, is helpful both at the diagnostic stage and in follow-up, as the disease worsens. The support aims to encourage acceptance and adaptation to the disease, process changes, and physical and mental consequences.

Indirizzo per la corrispondenza:
Sara Farinone
email: farinone.sara@hsr.it

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2024 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).
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Introduzione

La malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD) dell’adulto è la patologia genetica renale ereditaria più comune, caratterizzata dalla formazione di cisti nei reni. L’ADPKD rappresenta una delle principali cause di insufficienza renale cronica, con il 50-60% di pazienti che progredisce verso lo stadio terminale della malattia; è inoltre la quarta causa più comune di terapia dialitica a livello mondiale (1). Questa condizione colpisce centinaia di migliaia di persone in tutta Europa, in egual misura uomini e donne. Tale patologia, che trova la sua massima espressione nell’età adulta è caratterizzata da un esordio paucisintomatico che rende difficile una diagnosi precoce, a meno che non vi sia un’importante storia familiare nota. Il progredire della malattia si caratterizza per l’ingrandimento delle cisti renali, con progressivo aumento del volume dei reni in toto e con conseguente declino della funzione renale (1). Inoltre, la malattia è associata a diverse altre condizioni come ipertensione, cisti epatiche, ingombro addominale, dolore, rottura delle cisti con sanguinamento, calcoli renali, infezioni ricorrenti, vizi valvolari e aneurismi intracranici.

Attualmente, l’unico trattamento utilizzato per rallentare la progressione della malattia renale è il Tolvaptan, una molecola che, agendo come inibitore selettivo dell’ormone antidiuretico, richiede ai pazienti un aumento sostanziale dell’assunzione di liquidi per compensare adeguatamente gli effetti acquaretici del farmaco (2).

La presenza di una malattia è un evento che minaccia l’integrità sia personale che relazionale del paziente. Anche le conseguenze della stessa, in termini sia di sintomi che di trattamento, hanno un impatto significativo sulla quotidianità dei pazienti, richiedendo loro un evidente adattamento della vita privata e lavorativa (3,4). Molti individui con ADPKD, oltre a una sofferenza fisica, presentano anche molti sintomi riferibili a una sofferenza psicologica (5,6).

Aspetti psicologici nei pazienti con ADPKD

L’ADPKD, come molte altre malattie genetiche, presenta la caratteristica della cronicità. Come afferma Bonino (7), “In generale, la vita del paziente cronico si svolge in un clima di incertezza e di ansia per il futuro, su cui pende continuamente la minaccia dell’aggravamento della patologia, delle complicazioni e della morte”. L’insorgenza di una malattia cronica rappresenta per i pazienti un evento non scelto né desiderato, costituendo uno squilibrio esistenziale. Di fronte alla cronicità della malattia, i pazienti mettono in discussione la propria intera esistenza e si sentono minacciati rispetto alla realizzazione dei loro progetti, al compimento di determinati compiti e ruoli e al raggiungimento dei loro obiettivi nel contesto professionale, familiare e affettivo.

L’incapacità di accettare la malattia e i cambiamenti che questa implica o di adattarsi ad essa può portare a difficoltà che si manifestano nei diversi piani di vita del paziente: intrapersonale, sociale e lavorativo. La letteratura evidenzia un vissuto di distress psicologico nei pazienti affetti da ADPKD, variabile in base alle loro condizioni personali e alla gravità della sintomatologia esperita (8). Fin dalle prime fasi della malattia, si riscontrano vissuti di ansia e depressione, che rappresentano due delle principali sintomatologie esperite dai pazienti con ADPKD (9,10). Inoltre, vengono riferiti disturbi del sonno, difficoltà nelle funzioni sessuali, affaticamento, difficoltà sul lavoro, ridotta aderenza alla dieta e difficoltà nell’esercizio fisico (11).

Inoltre, l’ingombro addominale, condizione presente prevalentemente nelle pazienti di sesso femminile, può comportare una significativa alterazione dell’immagine corporea (12). A livello di coppia si riscontrano difficoltà nella pianificazione familiare dettate dal timore di trasmettere alla prole la malattia. A questo si aggiunge una grande preoccupazione delle donne, che, durante la gravidanza, sperimentano vissuti di paura per le complicazioni che spesso emergono nei mesi di gestazione e per l’elevato rischio di aborto spontaneo (13).

L’ADPKD è una condizione genetica ereditaria che presenta un fenotipo eterogeneo e una grande variabilità rispetto al decorso della malattia, sia tra famiglie differenti che all’interno della stessa famiglia; questo implica che non vi sia una prognosi determinata a priori. Molti soggetti a tal proposito vivono emozioni di rabbia, senso di colpa, risentimento, paura, incertezza e ambiguità legate al pensiero della prognosi. In particolare, le persone con una storia familiare nota di ADPKD spesso mostrano ansia anticipatoria ed emozioni legate alla non accettazione della condizione patologica, avendo come punto di riferimento l’esperienza di malattia dei loro familiari; al contrario, le persone che scoprono di essere il primo caso in famiglia a esserne affette, possono sperimentare vissuti di spaesamento, preoccupazione e ansia e un senso di inadeguatezza.

Fino a qualche anno fa non esistevano interventi farmacologici mirati, ma solo l’adesione a uno stile di vita adeguato, un attento controllo della pressione arteriosa e una terapia mirata alla gestione della sintomatologia e delle complicanze della malattia; questo per decenni ha contribuito all’assunzione di un atteggiamento in un certo modo “fatalistico”, da parte sia dei medici che dei pazienti. Il Tolvaptan è stato il primo farmaco ad aver dimostrato un impatto efficace sul rallentamento della progressione della patologia e sulla crescita delle cisti; ancora oggi è considerato il farmaco di elezione per l’ADPKD. Tuttavia, l’assunzione di questo vaptano comporta un aumento significativo dell’assunzione giornaliera di acqua, sino a 7-8 litri al giorno (2). Questi effetti acquaretici rappresentano un cambiamento importante per i pazienti rispetto alla gestione della loro vita quotidiana, con un conseguente impatto negativo sulla loro qualità di vita (QoL) e sull’aderenza al trattamento.

I pazienti affetti da ADPKD, come già accennato, possono presentare decorso e progressione variabili, dovuti sia a fattori genetici che all’influenza di differenti fattori ambientali. Nella fase più avanzata, l’ADPKD richiede l’avvio di una terapia sostitutiva che può essere il trattamento dialitico cronico e il trapianto di rene.

La dialisi è un tipo di terapia complessa e ripetitiva, che richiede tempo e pazienza e che coinvolge a livello fisico, organizzativo e psicologico non solo il paziente, ma anche la sua famiglia (14,15). I soggetti in dialisi vivono una discontinuità rispetto allo stile di vita precedente e un forte stress per l’impegno temporale che essa richiede. Oltre alle difficoltà fisiche, emergono:

disagio causato dalle restrizioni alimentari;

difficoltà nel limitare l’assunzione di liquidi;

modifica dell’immagine corporea e dello schema corporeo, dovuta alla presenza di fistole o di un catetere peritoneale;

angoscia della dipendenza dalla macchina e paura della morte.

Questi aspetti condizionano in misura diversa non solo le abitudini personali, ma anche le relazioni sociali e familiari, influendo in maniera significativa sul ruolo che il paziente ha all’interno della sua famiglia e nel suo contesto sociale e lavorativo (16,17).

Il trapianto rappresenta invece per i soggetti una via d’uscita dalla condizione di malattia, l’inizio di una “nuova vita”, in particolare per i pazienti policistici che non incorrono successivamente nel rischio di una recidiva. Tuttavia, è un momento intenso e impegnativo, che comporta profondi cambiamenti psicologici, relazionali e sociali sia per il paziente sia per le persone che gli stanno accanto. Il trapianto apre a un ampio scenario di emozioni, pensieri e aspettative che si declinano in maniera differente rispetto alle due fasi, quella che precede il trapianto e quella successiva al trapianto. La letteratura mostra come la popolazione di pazienti trapiantati di rene sia esposta a un elevato rischio di disturbi psichiatrici con ripercussioni sulla qualità della vita e sul rischio di rigetto. Risulta necessaria un’adeguata valutazione psicosociale pre-trapianto, che permetta una conoscenza più approfondita del paziente per pianificare strategie di coping e di eventuale supporto post-trapianto (18).

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FIGURE 1 - La qualità di vita dei pazienti. Dati rilevati da GfK Italia su 272 pazienti, settembre 2017.

La diagnosi di ADPKD, dunque, può incidere sullo stato psichico ed emotivo dell’individuo, portandolo a un peggioramento dell’autostima e a mettere in discussione l’immagine che egli ha di sé e del proprio corpo; lo costringe a adattarsi a un nuovo modo di vivere, a una nuova routine quotidiana, a nuove abitudini di cura di sé e a una nuova dieta (19).

I vissuti di solitudine, di abbandono, di paura, di dolore, di angoscia e di incertezza, se non adeguatamente affrontati, incidono sull’andamento del quadro clinico della malattia e sulla stessa compliance terapeutica. Risulta dunque importante offrire un supporto psicologico come strumento di intervento volto a favorire l’elaborazione dei cambiamenti e delle conseguenze fisiche e mentali associate alla malattia.

Il ruolo dello psicologo

Il benessere psicologico del paziente è un fattore fondamentale che contribuisce a un buon andamento del processo di cura. Per il paziente risulta importante poter manifestare le proprie attese e i propri timori legati alla patologia, confidare che i curanti tengano conto delle loro credenze ed essere aiutati nel processo di accettazione e di adattamento alla malattia (20). Per fare questo è necessaria la collaborazione attiva di un’equipe multidisciplinare composta da specialisti della salute, che siano in grado di attuare interventi sanitari, psicologici e sociali, con lo scopo di accompagnare il soggetto durante il suo processo di malattia e di far sì che si adatti e che aderisca al trattamento prescritto dai medici (21).

Il compito dei clinici è quello di integrare delle diagnosi descrittive con una comprensione della sofferenza del paziente, declinandola rispetto alla sua storia di vita e alla sua soggettività. Per questo motivo, il coinvolgimento della figura dello psicologo all’interno dell’ambito nefrologico è in continua evoluzione. Il lavoro dello psicologo clinico in nefrologia trova spazio sia nell’aiutare il malato cronico nel processo di accettazione dei limiti posti dalla malattia e del cambiamento dello stile di vita rispetto a quello precedente che nel cercare di costruire con il paziente percorsi di sviluppo personale coerenti con la sua condizione (22).

L’intervento psicologico è finalizzato a favorire il processo di accettazione, adattamento e reazione alla patologia, promuovendo l’aderenza con l’equipe curante, sostenendo il paziente sul piano emotivo e favorendo l’assunzione di responsabilità individuali nel processo decisionale (23).

Nel contesto dell’ADPKD, lo psicologo si occupa, a livello sia clinico che di ricerca, di supportare i pazienti valutando il loro modo di reagire alla malattia, i limiti imposti da questa e le difficoltà che ne conseguono. La presenza di un supporto psicologico è utile sia in fase diagnostica sia nel follow-up, con l’aggravarsi della malattia:

in fase diagnostica, identificare precocemente le possibili condizioni di difficoltà psichica attraverso l’utilizzo di strumenti validati scientificamente risulta fondamentale, poiché permette allo psicologo di avere una visione chiara delle problematiche dei pazienti e di implementare interventi il più possibile adeguati e mirati;

durante la fase di follow-up, invece, può risultare importante fornire ai pazienti un supporto psicologico per le eventuali difficoltà emerse, con lo scopo di alleviare la loro sofferenza psichica, gestendo il disagio psicologico connesso allo sviluppo della patologia. Ciò consiste nell’aiutare i pazienti in una migliore gestione delle reazioni emotive e nel promuovere uno stile di vita sano con attività fisica e corretta alimentazione, con lo scopo di accompagnare progressivamente i soggetti a una comprensione e a un’accettazione della malattia migliori.

Il compito dello psicologo è quello di dare al paziente una visione realistica delle difficoltà che dovrà affrontare a causa della malattia, cercando di far sì che non si indentifichi con quest’ultima ma aiutandolo a porsi in maniera adattiva di fronte al cambiamento in atto a livello personale ed esistenziale. Per fare questo, lo psicologo traccia un profilo psicologico del paziente, valuta la sua personalità e i suoi atteggiamenti e cerca di comprendere le sue ansie e le sue paure, mettendo tutto ciò in relazione con il tipo di vita di ogni soggetto e con il tipo di relazione che ha con i suoi familiari (24).

Una significativa fragilità psicologica, infatti, si può presentare non solo nella vita dei pazienti stessi, ma anche in quella dei loro familiari, che sono spesso coinvolti in maniera più o meno diretta nell’assistenza quotidiana. Il supporto psicologico può aiutare i familiari a comprendere meglio le esigenze dei propri cari, a gestire il senso di frustrazione, di rabbia e di impotenza che può insorgere durante il percorso di malattia, a condividere e a superare le paure e le ansie connesse alla prognosi e ad affrontare al meglio i momenti difficili che si presenteranno loro lungo il cammino di cura.

Inoltre, lo psicologo può essere di supporto anche per la presa in carico dei minori, nel caso in cui la coppia affetta da ADPKD abbia dei figli, offrendo loro un sostegno psicologico mirato che li aiuti a comprendere la malattia e a gestire le proprie emozioni (25).

In conclusione, il lavoro dello psicologo risulta cruciale nella gestione multidisciplinare del paziente affetto da ADPKD. Questo supporto psicologico non solo è volto a migliorare la qualità della vita dei pazienti, ma contribuisce anche a promuovere una maggiore aderenza alle indicazioni terapeutiche e ai trattamenti prescritti, facilitando così un approccio più efficace alla gestione della malattia e dei suoi impatti sulla vita quotidiana.

Disclosures

Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Authors contribution: All Authors contributed equally to this manuscript.

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