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G Clin Nefrol Dial 2024; 36: 10-17

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2024.3026

POINT OF VIEW

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CKD avanzata e genere: una visione pluriprospettica e multidimensionale

1Dietista già Coordinatore Nutrizione e Dietetica Aziendale, AUSL Modena, Comitato Scientifico ASAND (Associazione Scientifica Alimentazione Nutrizione e Dietetica dei Dietisti Italiani), Modena - Italy

2Dietista, Dipartimento di Cure Primarie, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia - Italy

3Dirigente Medico, UOC Nefrologia, AOU Policlinico Umberto I di Roma - Italy

4MD, Comitato Tecnico Scientifico Progetto regionale PIRP (Prevenzione Insufficienza Renale Progressiva), Bologna - Italy

5Dietista, SSD Malattie del Metabolismo e Nutrizione Clinica Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena - Italy

6Dirigente Medico, UOC Nefrologia e Dialisi Ospedale Sant’Eugenio, ASL Roma 2, Roma - Italy

7Dirigente Medico, U.O.C. di Nefrologia e Dialisi, P.O. “Di Venere”, Bari, ASL BA, Bari - Italy

Advanced CKD and gender: a multi-perspective and multi-dimensional vision

Chronic kidney disease (CKD) is present in approximately 7% of the population in the world: several studies have highlighted socio-cultural discrimination, to the detriment of women, in referral to specialist nephrological care and access to dialysis and transplantation. Globally, gender discrimination limits the possibility of access to education and medical care and the involvement in clinical trials. Women on dialysis have different comorbidities than men; the choice to follow a predialysis process and the subsequent orientation towards dialysis treatment are certainly influenced by gender as is the choice of dialysis access. As regards kidney transplantation, women are more likely to offer themselves as donors rather than to be beneficiaries. Conventional knowledge supports the belief that there are gender differences in the acquisition, preparation and consumption of food; for this reason it is essential to consider the variables that come into play when defining and agreeing treatment paths, in particular in taking care of people with chronic diseases such as CKD.

Indirizzo per la corrispondenza:
Anna Laura Fantuzzi
email: annalaurafantuzzi@gmail.com

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2024 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).
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Introduzione

La malattia renale cronica (MRC o CKD, Chronic Kidney Disease) è un problema di salute pubblica che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo e, secondo lo studio CARHES, in Italia ha una prevalenza pari al 7% circa; negli stadi iniziali (CKD 1 e 2) vi è una maggiore prevalenza negli uomini, mentre negli stadi più avanzati (G3a-G5) si osserva un’inversione di tendenza, con una maggiore prevalenza nelle donne (1). Molti altri studi in Letteratura riportano in modo uniforme che negli stadi CKD 3-5 le donne sono più colpite rispetto agli uomini (2,3).

Malattia renale cronica in fase avanzata e inizio del trattamento dialitico

Tra la fase di CKD avanzata e la successiva fase di terapia sostitutiva renale esiste un’evidente discrepanza tra uomini e donne nella prevalenza riscontrata. Infatti, dai Registri di dialisi si ricava che tra i pazienti incidenti alla dialisi il rapporto M:F è intorno a 2:1 (4,5). Molto verosimilmente negli uomini vi è un declino più rapido della funzione renale (6-9), legato sia a fattori biologici che all’impatto negativo di alcune patologie co-morbide come diabete e malattie cardiovascolari (CV); negli uomini vi sono anche alcuni fattori socio-culturali, come una minore aderenza alla terapia e alle prescrizioni sullo stile di vita (10), che possono contribuire ad accelerare la perdita della funzione renale. D’altro canto, una maggiore prevalenza di donne nella CKD non dialitica va interpretata alla luce di una loro maggiore longevità con un vantaggio di sopravvivenza, del fatto che l’età avanzata comporta una certa riduzione della funzione renale e infine del bias, insito nelle formule di stima del VFG, che porta a un’imprecisione nella stima della reale funzione renale e che può condurre a un surplus di diagnosi di CKD nel sesso femminile (3,10). Diversi studi hanno evidenziato delle discriminazioni socio-culturali, a discapito delle donne, nel referral alle cure specialistiche nefrologiche e all’accesso alla dialisi e al trapianto (2,11); questo si traduce in un ritardo nell’avvio della dialisi, con valori di filtrato glomerulare inferiori di circa 0,8-1 mL/min/1,73 m2 rispetto agli uomini e con un’età superiore di circa 1-2 anni (2,4). La recente analisi della coorte SCREAM (Stockholm Creatinine Measurement from outpatient care project) (n = 227.847, 45% uomini) ha rivelato che esistono differenze di sesso anche per quanto riguarda individuazione, riconoscimento, monitoraggio e trattamento della malattia renale cronica (12). Ancora, esaminando la qualità delle cure erogate in pazienti con CKD 3-5, in base a 12 indicatori che misurano l’aderenza alle Linee Guida, e operando una stratificazione in base al sesso, Bello et al. (13) hanno mostrato che gli uomini hanno maggiori probabilità di ricevere screening diagnostici e farmaci coerenti con le raccomandazioni di buona pratica clinica. Nei diversi contesti geografici e nei vari sistemi sanitari tali differenze possono essere più o meno accentuate. Nella fase di pre-dialisi, secondo il report dell’EDTA e quello degli Stati Uniti (4,5), uomini e donne ricevono le cure prima dell’inizio della terapia sostitutiva in uguale misura (34,7% nei M vs 35,3% nelle F) e con una simile durata di “presa in carico nefrologica” (2) (Fig. 1). Tuttavia, occorre sottolineare che le donne in età avanzata molto spesso scelgono di proseguire con una terapia conservativa massimale piuttosto che entrare in dialisi (10).

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FIGURA 1 - Percentuale di pazienti con CKD in vari stadi di malattia che ricevono cure nefrologiche, stratificati tra uomini e donne (fonte dati USRDS anno 2023) (14).

Come il genere influenza la scelta della metodica dialitica

Abbiamo ancora scarsità di dati su come e quanto il genere possa influenzare la scelta e la modalità di inizio della terapia dialitica (15). Negli Stati Uniti circa l’85% degli uomini e delle donne inizia la terapia sostitutiva con l’emodialisi e percentuali simili si riscontrano anche in Europa (10). Solo lo studio di Vogel suggerisce che il genere può condizionare la scelta della terapia sostituiva iniziale (15). Infatti, esaminando i dati nell’ambito della dialisi peritoneale (DP) negli US, essere donna conferisce una maggiore probabilità di iniziare con la DP (OR 1,04, 95% CI 1,02-1,05; 7,9% delle donne e 7,5% degli uomini) (15). Dal momento che si tratta di dati di Registro, risulta difficile stabilire se l’avvio con DP rappresenti una scelta in positivo o se sia una scelta obbligata, secondaria alle difficoltà di costruire un accesso vascolare valido (10). Sempre secondo lo studio di Vogel et al. una possibile spiegazione della maggiore propensione delle donne verso la DP potrebbe essere riconducibile al fatto che le donne, rispetto agli uomini, si sentono più a loro agio nel prendersi cura di sé stesse e nell’eseguire la DP a casa, scelta che permetterebbe di conciliare la terapia e gli abituali compiti di accudimento (15). Al contrario, le donne affette da molte comorbidità, rispetto agli uomini, tendono a scegliere di meno la DP, perché consapevoli di avere un minore supporto familiare; allo stesso modo le donne in età avanzata escludono una metodica domiciliare, poiché vivono sole e per la mancanza del caregiver. Altrettanto scarsi sono gli studi che esplorano le differenze tra uomini e donne per quanto riguarda le aspettative e le emozioni che si accompagnano alla terapia sostitutiva renale. Per esempio, è esperienza comune che, anche se la fistola (FAV) rappresenta l’accesso vascolare da preferire, molte donne ancora giovani rifiutano la FAV per motivi estetici e preferiscono un catetere giugulare a permanenza (10) o il catetere peritoneale. Al momento della scelta dialitica gli uomini tendono a dare priorità al recupero della performance fisica, mentre le donne antepongono il desiderio di un benessere globale e mentale (16).

Deficit cognitivo e depressione

Con l’espressione deficit cognitivo si intendono sia alterazioni della sfera cognitiva lievi (disturbo neuro-cognitivo minore, anche noto come compromissione cognitiva lieve o mild cognitive impairment, MCI) che forme più gravi come la demenza. Tuttavia, mentre la demenza interessa almeno due domini della sfera cognitiva e interferisce con le abituali attività quotidiane, il disturbo neuro-cognitivo lieve è caratterizzato da un modesto declino cognitivo rispetto a uno o più domini cognitivi (attenzione, funzioni esecutive, apprendimento e memoria, linguaggio, funzione percettivo-motoria e cognizione sociale), che non interferisce con il funzionamento personale, sociale e lavorativo delle persone. L’insufficienza renale cronica (CKD) è uno dei maggiori fattori di rischio per demenza e MCI (17), con evidenza di un declino cognitivo già nei primi stadi della stessa. La prevalenza del deficit cognitivo nella CKD è molto variabile (tra il 10% e il 60%) e riflette lo stadio di CKD e il metodo utilizzato per la diagnosi (18,19). In emodialisi (HD), il deficit cognitivo è estremamente comune e più del 70% dei pazienti mostra un modesto declino in almeno un dominio cognitivo (Tab. I) (20). La patogenesi del deficit cognitivo in emodialisi include sia fattori di rischio tradizionali per malattie cardiovascolari (diabete, ipertensione, dislipidemia) che fattori di rischio non tradizionali per malattie cardiovascolari, ma specifici per il deficit cognitivo. Tra questi ritroviamo: tossine uremiche, fattori legati alla metodica (rapido shift di fluidi, ipotensione intra- e post-dialitica), infiammazione, comorbidità come anemia e depressione e così via (21,22). I domini più largamente compromessi risultano essere quelli relativi alla memoria e alle funzioni esecutive (23). La memoria è notoriamente ridotta nei pazienti con CKD, nei quali sia la memoria implicita (automatica, non consapevole) che quella esplicita (consapevole) sono alterate. L’età è un fattore che influenza sicuramente la memoria esplicita, mentre è meno chiaro il suo ruolo sulla memoria implicita. Nella CKD tuttavia, oltre all’età, altri fattori influenzano la memoria. Evidenze sperimentali suggeriscono come modifiche delle sinapsi colinergiche neuronali siano implicate nei deficit della memoria che si osservano in corso di CKD (24). Per le funzioni esecutive invece la patologia cerebrovascolare sembra essere quella più strettamente connessa con il deficit nelle funzioni esecutive.

TABELLA 1 - Principali domini cognitivi
Domini cognitivi
Attenzione Selezione di informazioni specifiche all’interno di un canale sensoriale, ignorando tutti gli altri dati.
Memoria Registrazione e richiamo delle informazioni. Esistono diversi tipi di memoria indipendenti, come la memoria esplicita (p. es., per le parole e la storia), la memoria implicita (p. es., per le azioni e le abilità), la memoria a breve termine e la memoria di lavoro (con un numero limitato di elementi che possono essere registrati per breve tempo) e la memoria a lungo termine.
Linguaggio Ripetizione, comprensione e produzione di parole e frasi.
Abilità visuo-spaziale Analisi delle informazioni visive, riconoscimento di immagini e riproduzione di disegni.
Funzioni esecutive Processi mentali necessari per un comportamento finalizzato.

Una recente metanalisi che comprende 10 studi per un totale di 5.535 pazienti in emodialisi ha messo in evidenza come tra i fattori di rischio più importanti per il deficit cognitivo rientri, oltre all’età, al diabete mellito e alle patologie cerebrovascolari, anche il sesso femminile (25). Una possibile spiegazione può essere ricercata nelle alterazioni ormonali relative agli ormoni sessuali e in particolare nella riduzione dei livelli di estradiolo. La diminuzione dei livelli di estrogeni, che si può osservare con l’età (menopausa) e con la CKD, sembra infatti essere associata a disturbi cognitivi nei domini dell’attenzione e della memoria (26).

Nella più alta prevalenza del deficit cognitivo tra le donne, non è però da escludere il ruolo mediato da altre comorbidità e in particolare lo stretto link che sempre più si va evidenziando negli ultimi anni con la depressione. Il deterioramento delle funzioni cognitive non a caso è un criterio diagnostico del disturbo depressivo e, anche dopo il trattamento del disturbo dell’umore, il deterioramento cognitivo può persistere. La depressione in particolare influenza l’attenzione, il processo decisionale, la memoria e l’interazione sociale. Può anche manifestarsi solo come un marcato disturbo della memoria, una condizione precedentemente chiamata “pseudo-demenza”. Si tratta di una condizione comune e spesso misconosciuta nei pazienti in dialisi con una prevalenza mondiale del 13,1-76,3%, notevolmente superiore rispetto al 3,38% della popolazione generale, secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2020. I pazienti con CKD terminale mostrano frequentemente stati depressivi, caratterizzati da sentimento di impotenza, disperazione, inadeguatezza, tristezza e perdita di interesse nella vita quotidiana. Molte persone si sentono sopraffatte e depresse quando scoprono per la prima volta la loro malattia renale e la necessità di iniziare la dialisi. D’altra parte, la necessità del trattamento dialitico modifica totalmente la quotidianità delle persone, che spesso si sentono come se le loro intere vite siano state capovolte. Si stima che ben il 40% dei pazienti in emodialisi risulti affetto da depressione (27). Inoltre, rispetto alla popolazione generale, la percentuale di depressione nei pazienti affetti da CKD risulta essere 2-3 volte maggiore. Possibili spiegazioni che giustificano una così alta incidenza sono da ricercare in fattori sia ambientali (non dipendenti strettamente dalla malattia renale) che biologici (fattori relativi alla malattia in sé). In particolare, tra le possibili cause ambientali, ritroviamo: a) qualità della vita ridotta dalla necessità di frequenti visite ambulatoriali e dall’alta incidenza di ricoveri, da restrizioni dietetiche, dall’alto numero di farmaci assunti e dalla necessità di recarsi tre volte a settimana presso la struttura di riferimento per eseguire il trattamento dialitico; b) limitazioni funzionali e sintomi fisici legati alla malattia di base e alla sindrome uremica responsabili di comorbidità antecedenti e successive all’inizio della dialisi (demenza, malattia cerebrovascolare, ecc.); c) sintomi fisici post-dialisi come affaticamento, mal di testa e ipotensione ortostatica; d) peso psicologico di una malattia che influisce in maniera significativa sulla morbidità e sulla mortalità; e) perdita del sostegno familiare e sociale; f) riduzione delle capacità lavorative con conseguente riduzione del reddito. Tra i fattori biologici alterati potenzialmente connessi alla depressione ritroviamo lo stato infiammatorio cronico, le alterazioni ormonali e la presenza di comorbidità cerebrovascolari, tutte in grado di alterare il normale stato dell’umore. Nell’ambito dei fattori sociali, i principali fattori di rischio per l’insorgenza di depressione sono rappresentati dalla giovane età, dal sesso femminile e dal basso livello di istruzione (28,29) (Fig. 2). Studi clinici, infatti, dimostrano come la qualità di vita nelle donne in trattamento emodialitico risulti più bassa in media rispetto agli uomini (30) e che questo sia legato al maggior numero di sintomi depressivi manifestati dalle donne (31). Le differenze di genere osservate in questa popolazione di pazienti in emodialisi sono coerenti con i risultati di studi sviluppati anche in altri contesti e popolazioni. Ci sono dati che suggeriscono che nella popolazione generale e tra i soggetti non dializzati con malattie croniche, le donne hanno una maggiore incidenza di depressione e una qualità di vita peggiore. Allo stesso modo, tra i pazienti non in dialisi, la depressione gioca un ruolo nello spiegare la più bassa qualità di vita nelle donne che negli uomini. Frustrazioni con aspettative disattese e mancanza di supporto sociale sono alcune delle potenziali spiegazioni suggerite per giustificare la maggiore probabilità di depressione e la qualità di vita più scarsa tra le donne che tra gli uomini (32).

Qual è l’accesso vascolare migliore per le donne

I pazienti sottoposti a emodialisi cronica (HD) necessitano di un accesso vascolare definitivo, che deve possedere alcune caratteristiche, vale a dire essere facilmente utilizzabile, garantire un’adeguatezza dialitica tale da non impattare sulla qualità della vita ed essere psicologicamente ben accettato. Le tre opzioni disponibili sono: fistola arterovenosa nativa (FAVn), fistola arterovenosa protesica (FAVp) e catetere venoso centrale (CVC). Le Linee Guida per l’accesso vascolare raccomandano l’uso di accessi arterovenosi (AV) FAVn e FAVp rispetto ai CVC per l’emodialisi, a causa del minore rischio di mortalità e morbidità (33). È noto in Letteratura che le FAVn offrono una maggiore pervietà a lungo termine, minori complicanze e percentuali di infezione più basse rispetto alle FAVp o ai CVC. Nonostante questi vantaggi, le donne continuano a essere meno rappresentate tra i pazienti con FAV, probabilmente a causa del diametro vascolare più esiguo che determina tassi più elevati di fallimento precoce dell’accesso vascolare (34). Le differenze legate al sesso, dunque, continuano a persistere nell’approccio all’accesso vascolare per l’avvio dell’emodialisi. Markell et al. (35) hanno analizzato 187.555 pazienti in emodialisi dello United States Renal Data System (USRDS) e hanno riportato che la percentuale di utilizzo di FAV era inferiore del 30% nelle donne che negli uomini. In un altro studio, sempre americano, con un campione maggiore (> 1.000.000 di partecipanti) i risultati sono risultati sovrapponibili (36). I numerosi benefici clinici della FAV suggeriscono che si dovrebbe fare uno sforzo maggiore per favorire le FAVn nelle donne. La pervietà della FAV nel sesso femminile potrebbe essere migliorata se pazienti e personale fossero adeguatamente istruiti e dotati di strumenti e competenze adeguati. Lo screening preoperatorio e il monitoraggio postoperatorio ecografico sono strumenti importantissimi per identificare e mantenere la pervietà delle FAV. Non è da meno l’esercizio fisico che può migliorare il diametro vascolare e che può essere ancora più vantaggioso per le donne (37).

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FIGURA 2 - Meccanismi coinvolti nell’insorgenza della depressione.

La visione paziente-centrica dell’accesso dialitico

Per definire come la differenza di genere si comporta nell’ambito dell’accesso vascolare è necessario fare alcune precisazioni. In prima istanza l’età e lo stile di vita della donna contribuiscono alla scelta della metodica dialitica e quindi dell’accesso per dialisi. Quando l’inizio della terapia sostitutiva è un’evenienza inevitabile, come per esempio per le pazienti con rene policistico o affette da glomerulonefriti (vale a dire, con una lunga storia nefrologica), è più corretto parlare di scelta dell’accesso dialitico. In genere, ma non in assoluto, pazienti giovani entro i 50-60 anni di età, che svolgono una vita lavorativa o familiare attiva, spesso scelgono la dialisi peritoneale, metodica che consente una maggiore libertà di movimento durante la giornata, specialmente se sono trattate in APD (dialisi peritoneale automatizzata), che viene svolta generalmente nelle ore notturne. Viceversa, nello stesso ambito, c’è chi sceglie di “non portare la malattia in casa” optando per l’emodialisi; in tal caso è opportuno valutare bene la scelta dell’accesso vascolare. Avanzando con l’età aumentano inevitabilmente le comorbidità, in particolare quelle legate allo stato uremico, come cardiopatie, discoagulopatie e osteopatie, e, per questa ragione, donne in età più avanzata generalmente vengono indirizzate alla terapia emodialitica, che richiede un monitoraggio clinico più stretto (due-tre volte a settimana) da parte del personale sanitario del centro dialisi. Quando l’inizio della dialisi è invece un evento acuto o subacuto, la scelta della metodica e quindi dell’accesso vascolare dipende dalle condizioni cliniche del paziente al momento dell’avvio alla dialisi, dallo stile di vita, dal livello di igiene personale, dallo stato sociale e dall’età. Per esempio, una donna ultraottantenne allettata, diabetica, con cardiopatia grave e che assume anticoagulanti sarà gestita meglio con un catetere venoso centrale (CVC) che non con una FAV. Queste precisazioni derivano da un argomento ben rappresentato a livello delle Linee Guida, in particolare dalle KDOQI, che indirizzano la scelta dell’accesso vascolare verso una prospettiva paziente-centrica (“patient-centered”). Questo significa che la scelta è dettata dalle caratteristiche e dalle esigenze del paziente e si traduce nel concetto di “cosa è meglio fare per quel paziente”. Sarà quindi soprattutto competenza del medico che ha in cura il paziente indirizzarlo verso la scelta migliore. Quindi, dal momento che la strategia di accesso alla dialisi riflette il LifePlan della CKD, in base al quale l’accesso dialitico appropriato si allinea alla modalità di terapia sostitutiva, questo deve essere individualizzato per aiutare ciascun paziente a raggiungere i propri obiettivi di vita in modo sicuro.

Aspetti psicologici

L’accesso vascolare è più di un intervento chirurgico. Un accesso vascolare indica un’imminente dialisi, eventualità emotivamente molto impegnativa. I pazienti si sforzano di preservare l’albero vascolare per la propria sopravvivenza, ma allo stesso tempo lo descrivono come un pensiero angosciante che sconvolge la loro identità e il loro stile di vita (38). Un’educazione e una consulenza tempestive sull’accesso vascolare e la costruzione di un rapporto di fiducia tra pazienti e operatori sanitari possono migliorare la qualità della dialisi e portare a risultati migliori per i pazienti con CKD che necessitano di dialisi. L’aspetto psicologico legato all’accesso vascolare nel genere femminile è ancora poco esplorato in Letteratura; quindi, quello che è possibile rilevare si basa sull’esperienza professionale personale. Quando una donna si approccia alla dialisi concentra la sua attenzione sulla qualità della vita e considera se questa è garantita da una FAV piuttosto che da un CVC, la sua scelta dovrebbe essere favorita. Tuttavia, il ruolo del medico e dell’infermiere dovrebbe essere quello di educare la paziente sulla scelta più idonea per lei e per la sua condizione clinica. Quando una donna si trova di fronte alla complicanza della dialisi non ha speranze, deve fare la dialisi. Una donna può essere giovane o anziana, mamma o nonna, attiva o sedentaria, e la percezione del proprio essere in relazione alla dialisi deve essere assolutamente compatibile con lo stile di vita e con il contesto familiare e sociale. La CKD e quindi la dialisi sono condizioni che una persona porterà con sé tutta la vita e le scelte in relazione a queste dovrebbero essere dettate dall’amor proprio e dei propri cari. La percezione della precarietà dovrebbe indirizzare ogni paziente ad affidarsi al sanitario nella scelta dell’accesso vascolare e dialitico nella speranza che esso comporti un miglioramento della qualità della vita in rapporto alla patologia. Altro aspetto legato alla FAV potrebbe essere rappresentato da quello estetico. Nel tempo le FAV possono sviluppare dilatazioni aneurismatiche che possiamo definire anti-estetiche, ma anche le stesse cicatrici chirurgiche potrebbero rappresentare un ostacolo alla scelta dell’accesso vascolare. Le nuove tecnologie hanno portato ad affrontare anche questa tematica e la fistola endovascolare (EndoFAV) potrebbe rappresentare una soluzione. L’EndoFAV è una FAV che viene confezionata con l’inserimento di piccoli cateteri all’interno dei vasi, quindi senza cicatrice chirurgica, attraverso l’erogazione di energia termica o di energia a radiofrequenza (39,40). I risultati sono non solo l’assenza di cicatrice ma anche il minor rischio di sviluppo di dilatazioni aneurismatiche (Fig. 3). Il limite di questa nuova metodica è rappresentato dai criteri di selezione del paziente estremamente restrittivi, come descritto in Letteratura (41).

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FIGURA 3 - Nella foto A vediamo l’arto di un paziente che ha confezionato un’EndoFAV in prima giornata postoperatoria in assenza di cicatrice. Nella foto B vediamo lo stesso paziente a distanza di un mese dal confezionamento della FAV endovascolare.

Compliance vs concordance nel supporto nutrizionale

Storicamente la medicina ha sempre messo l’uomo al centro degli studi, limitando la salute femminile ai soli aspetti relativi alla riproduzione. Solo recentemente è diventato chiaro come lo sviluppo della medicina, avvenuto attraverso studi condotti quasi solo su uomini, si fosse basato sull’idea di proteggere la donna e sull’errato pregiudizio scientifico che fosse diversa dall’uomo solo per le dimensioni (42). La medicina di genere rappresenta invece un obiettivo strategico anche per il Servizio Sanitario Nazionale che va verso una medicina personalizzata, più aderente alle specifiche necessità di ciascuno e quindi più efficace ed economica. La conoscenza convenzionale, che risulta dall’osservazione e dall’esperienza, supporta la convinzione che ci sono differenze di genere nell’acquisizione, nella preparazione e nel consumo del cibo e per tale motivo è indispensabile considerare le variabili che entrano in gioco quando si definiscono e si concordano percorsi di cura, in particolare nella presa in carico di persone con malattie croniche come la CKD. Proprio in questo ambito gli aspetti correlati alla nutrizione acquisiscono connotazioni multiformi. Per tutta la loro vita i pazienti dovranno infatti affrontare frequenti, complesse e talvolta difficili modificazioni dietetiche (Fig. 4), al fine di preservare la funzione renale e la composizione corporea e di essere protetti dagli effetti collaterali della terapia farmacologica (43). Si osserva tuttavia una discrepanza tra le indicazioni dietetiche fornite dagli operatori sanitari e il concreto comportamento alimentare dei pazienti, sovrapponibile a quanto rilevato per il trattamento farmacologico nella CKD, in cui il 25-50% dei soggetti non segue correttamente le prescrizioni fornite (44). Diventa perciò particolarmente rilevante il ruolo degli operatori sanitari nel promuovere la compliance/concordance al trattamento, cercando sempre la collaborazione dei pazienti e dei caregiver. Il termine “compliance” è utilizzato per definire l’atteggiamento del paziente che segue il trattamento prescritto in quanto considera il paziente un semplice esecutore degli ordini dell’operatore sanitario (45), mentre il termine “concordance” definisce la decisione informata del paziente. La differenza fondamentale tra “compliance” e “concordance” è che quest’ultima richiede la partecipazione attiva di due persone, l’operatore sanitario e il paziente, che hanno entrambi un ruolo significativo nel promuovere l’aderenza al trattamento (46). Per aumentare i livelli di compliance e concordance al supporto nutrizionale è necessario attivare un processo educazionale articolato in interventi informativo-formativi individualizzati e adeguati al livello di adattamento del paziente. Gli interventi dovrebbero tenere conto dei fattori correlati alla costruzione della motivazione personale e, di conseguenza, puntare a strategie per il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.

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FIGURA 4 - Le fasi della malattia renale e i cambiamenti della dieta. Il supporto nutrizionale nella malattia renale cronica.

Conclusioni

Riteniamo che esista un’influenza del genere sulla scelta sia del percorso predialitico che della metodica sostitutiva stessa, e questo come risultato di un differente approccio alle politiche di cura oltre che di scelte dettate da retaggi culturali. L’influenza di quadri morbosi più o meno prevalenti in un genere, talvolta dettati dalla condizione di uremia stessa, condiziona inevitabilmente le prospettive terapeutiche e l’approccio alla scelta della cura.

Pertanto, la medicina orientata sul genere rappresenterà sempre di più un obiettivo strategico del SSN, che, attraverso la conoscenza delle variabili presenti in un percorso di cura legate al genere stesso, permetta di personalizzare il trattamento per una migliore qualità di vita delle persone con CKD, ottimizzando anche la spesa sanitaria.

Disclosures

Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Authors contribution: All Authors contributed equally to this manuscript.

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