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G Clin Nefrol Dial 2023; 35: 66-72

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2023.2661

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Disparità di sesso e genere nella nefropatia lupica e nel trapianto di rene

Comitato Tecnico Scientifico Progetto regionale PIRP (Prevenzione Insufficienza Renale Progressiva), Bologna - Italy

Sex and gender disparities in lupus nephropathy and kidney transplantation

Systemic lupus erythematosus (SLE) has a clear prevalence in females. Although there are conflicting data, among males affected by SLE a higher proportion develops lupus nephritis, with a more severe histological and clinical pattern than in females. More frequently males also present an antiphospholipid syndrome. Males are less likely to achieve clinical remission of lupus nephritis.

A sex and gender disparity is also present in all the phases preceding the kidney transplant from the referral for eligibility to the registration on the active waiting list. There is a perception among healthcare staff that women have a greater degree of fragility and are therefore less eligible for kidney transplantation. Women also encounter obstacles in completing the tests necessary for inclusion in the waiting list and in many Health Care contexts they are less likely to have a transplant. In the field of living transplantation, women represent over half of all donors, while males are predominantly recipients. Long-term patient and graft survival appears superior in women than in men.

Indirizzo per la corrispondenza:
Marcora Mandreoli
Via Villanova 2/3
40055 Castenaso (BO) - Italy
marcoramandreoli@gmail.com

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2023 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).
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Introduzione

Sesso e genere sono due entità concettualmente separate: il primo termine si riferisce ad aspetti biologici e genetici e a caratteristiche cromosomiche e ormonali, mentre il secondo include aspetti comportamentali, sociali e culturali. Nel precedente lavoro sulle differenze di sesso e genere nelle malattie renali (1) sono stati affrontati principalmente gli aspetti biologici, legati al dimorfismo sessuale, che condizionano l’insorgenza e l’esito di diverse nefropatie primitive e la progressione della Malattia Renale Cronica (MRC). In questa seconda parte, che è incentrata sulla nefropatia lupica (LN) e sul trapianto, emerge maggiormente il ruolo che il genere riveste nel contesto del trapianto, mentre, per quanto riguarda le malattie autoimmuni, ancora una volta prevalgono gli aspetti biologici, riconducibili ai cromosomi sessuali e all’azione degli ormoni sessuali (2).

Il peso di sesso e genere in corso di nefropatia lupica

Il lupus eritematoso (LES) è una malattia sistemica autoimmune, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi e dalla disregolazione immunitaria. L’eziologia è complessa, con alterazioni di fattori genetici, epigenetici, ormonali e ambientali che, attraverso varie vie patogenetiche, vanno a colpire molti punti chiave del sistema immunitario e condizionano le varie espressività fenotipiche. La netta prevalenza nel sesso femminile per molti anni ha orientato quasi tutta l’attenzione sugli ormoni sessuali, estrogeni e androgeni, e sui recettori degli estrogeni (ERα ed ERβ). Dati più recenti hanno mostrato l’importanza anche di altri fattori biologici, sempre inerenti al dimorfismo sessuale, come per esempio i fattori epigenetici che governano l’inattivazione dei geni del cromosoma X nel sesso femminile.

La maggiore prevalenza del LES nel sesso femminile, con un rapporto F:M di 10:1 nell’età fertile (fino a 15:1), è stata riscontrata in tutto il mondo e nelle diverse etnie; il rapporto si abbassa a 2:1 nelle forme a insorgenza pre-puberale o dopo la menopausa (3,4). Osservazioni prettamente cliniche quali l’esordio della malattia in coincidenza con la gravidanza o la presenza di un incremento degli episodi di flare-up fino al 75% durante la gravidanza (4), il peggioramento della malattia in corso di terapia estrogenica e l’attenuazione dei sintomi dopo la menopausa rinforzano il ruolo patogenetico o favorente degli ormoni sessuali (4). Gli ormoni sessuali, infatti, intervengono anche nella risposta immune, sia innata che adattiva, e un’alterata regolazione di tali meccanismi contribuisce all’insorgenza di patologie autoimmuni (4-7). Androgeni e progesterone svolgono prevalentemente un’azione anti-infiammatoria e immunosoppressiva e risultano quindi “protettivi” nei confronti di un’auto-immunità (4), mentre gli estrogeni promuovono un’immunostimolazione (4,8) e sono sempre stati considerati come predisponenti l’insorgenza di un LES. Gli estrogeni, oltre a modulare le risposte dei linfociti T e B, rappresentano un trigger per l’espressione delle citokine, compreso l’interferone (IFN) α e β (9). Sul cromosoma X sono presenti diversi geni coinvolti nella risposta immune e, tra questi, i geni per i Toll-Like receptors (TLR) TLR7 e TLR8 e altri fattori di trascrizione. Il fatto che il gene per il TLR7 sia localizzato nel cromosoma X potrebbe spiegare la maggiore frequenza del lupus nel sesso femminile. In particolare, il TLR7 è espresso nelle cellule dendritiche umane e in vari tipi di cellule e induce il rilascio degli interferoni di tipo 1. In corso di LES, questi e altri geni X-linked risultano iper-espressi (9). Normalmente nelle donne uno dei due cromosomi X viene precocemente “silenziato” e inattivato, attraverso un processo di metilazione del DNA, per impedire la sovra-espressione di tali geni. Modificazioni epigenetiche, che compromettono la metilazione del DNA e impediscono il corretto “silenziamento” dei geni X-linked, contribuiscono al dimorfismo di genere in varie patologie autoimmuni (9). Sul cromosoma X risiedono anche 18 micro RNA, che sono invece assenti sul cromosoma Y. Vi sono esempli clinici che un’“eccessiva dose” di geni X-linked rappresenta un driver per l’insorgenza del LES; per esempio, le persone con sindrome di Klinefelter (47,XXY) presentano un rischio di LES aumentato di 14 volte rispetto agli uomini con un normale patrimonio di geni del cromosoma X (46,XY). Viceversa, le femmine con sindrome di Turner, che hanno un unico X, hanno un rischio di LES ridotto (9).

Nell’esaminare le disparità di manifestazioni cliniche, occorre considerare che le varie casistiche raccolte sono spesso disomogenee per quanto riguarda regioni di provenienza, etnia dei pazienti, numerosità campionaria e durata della malattia e del follow-up. Tra uomini e donne sono stati descritti prevalenze diverse nei sintomi di presentazione e un diverso andamento della malattia (3). Negli uomini molto spesso vi è un ritardo diagnostico di alcuni anni, legato al fatto che il LES è inusuale nel maschio. Nelle donne la diagnosi di solito avviene a un’età compresa tra i 26 e i 42 anni, mentre, negli uomini, tra i 26 e i 55 anni (3). Dal punto di vista del Laboratorio la presenza di anticorpi anti ds-DNA e anti-Smith e di lupus-anticoagulant sembra più frequente negli uomini che nelle donne (4,10). A parte uno studio recente condotto a Pisa, che non rileva differenze significative di danno d’organo e di frequenza di recidiva tra uomini e donne (11), le restanti casistiche sembrano dimostrare che nell’uomo il LES ha un andamento più aggressivo e una prognosi più severa (3-10). Le sierositi (3,4,10,11) e il coinvolgimento renale e neurologico (3,4,10) sono più frequenti nei maschi, mentre il rash cutaneo, le ulcere orali, la fotosensibilità, il fenomeno di Raynaud e l’alopecia prevalgono nelle donne (3,4,10,12,13). Nella Tabella I vengono riportate le differenze tra uomini e donne nei sintomi di presentazione clinica e nel coinvolgimento renale, tratte da due studi, uno svedese e uno italiano. Entrambi gli studi hanno raccolto solo pazienti caucasici, con un follow-up > 10 anni, nel contesto di sistemi sanitari di tipo universalistico, con pari opportunità di cura (3,11). In entrambe le coorti, le donne all’esordio hanno un’età significativamente più bassa e un maggiore coinvolgimento mucocutaneo; solo nella coorte di Upsala (3) il danno renale prevale in modo significativo negli uomini (p < 0,0001). In entrambe le coorti non sono state rilevate differenze significative tra uomini e donne nelle classi istologiche della nefropatia lupica (Tab. I). Nonostante una pari gravità istologica, i maschi della coorte di Upsala (3) presentavano un andamento più severo del danno renale e un raddoppio del rischio di raggiungere l’End Stage Renal Disease (ESRD). I maschi con coinvolgimento renale presentano anche un’aumentata mortalità (3). Verosimilmente, nel peggiorare la prognosi renale e nel ridurre la sopravvivenza globale nei maschi intervengono altri fattori co-morbidi come l’ipertensione, il danno aterosclerotico, la dislipidemia e l’abitudine al fumo, a cui occorre aggiungere una maggiore predisposizione a manifestare una sindrome da antifosfolipidi (4,11). Al momento non si conoscono ancora tutti i meccanismi molecolari per cui gli uomini hanno una maggiore propensione a sviluppare danno renale. Infine, gli uomini manifestano una maggiore resistenza alla terapia (10) e una minore aderenza alle prescrizioni (3) e, meno facilmente, arrivano alla remissione completa della LN.

TABELLA I - Differenze nelle manifestazioni cliniche della ln e nella severità istologica tra uomini e donne. confronto tra due coorti di pazienti (3 e 11), paragonabili per etnia, prevalentemente caucasica, e durata del follow-up
Ramirez Sepulveda (3)
Totale pazienti = 1.266
Trentin (11)
Totale pazienti = 417
M F p M F p
N° tot. M (%) 166 (13) 1.060 (87) <0,001 51 (12,2) 366 (87,8)
Durata follow-up Media (mediana??) + DS 13,4 + 10,2 15,8 + 11,6 0,03 7,6 + 7,6 11,1 + 9,5 0,006
Età media alla diagnosi + DS 40 + 19 36 + 15 0,006 38,17 + 14,8 30,47 + 12 <0,001
Manifestazioni cliniche all’esordio
Manifestazioni cutanee (%) 65 (39,2) 592 (55,8) <0,001 18 (35,3) 147 (40,4) 0,49
Sierositi (%) 93 (56) 436 (41,1) 0,0003 8 (15,7) 26 (7,1) 0,037
Coinvolgimento renale (%) 90 (54,2) 317 (29,9) <0,0001 10 (19,6) 52 (14,3) 0,32
Manifestazioni ematologiche (%) 100 (60,2) 652 (61,5) 0,76 12 (23,5) 111 (35) 0,27
Nefrite lupica (classe istologica)
I-II (%) 12 14 0,84 11 13,9 ns
III-IV (%) 59 65 0,46 72,2 77,5 ns
V (%) 20 15 0,44 11,1 4,6 ns
Altre forme istologiche (%) 5 4 0,85 0 3,9 ns

Valutando gli esiti della LN sul versante delle donne, non si possono comunque ignorare le ripercussioni esercitate dalla gravidanza, soprattutto se iniziata in fase di attività del LES, quale fattore di rischio aggiuntivo, in grado di peggiorare la salute della donna e del nascituro e di accelerare il declino funzionale renale.

Conoscere le diverse espressività del LES negli uomini e nelle donne può essere di aiuto per evitare il ritardo diagnostico nell’uomo e per intensificare la sorveglianza clinica.

Disparità di sesso e di genere nell’accesso al trapianto di rene, nella sua fattibilità e negli esiti

In quasi tutti i Paesi del mondo, diversi tra loro per cultura e condizioni socio-economiche, esiste un gap di genere, a svantaggio delle donne, nell’accesso al trapianto di rene (Tx); la disparità, sia in numero assoluto che in percentuale, si mantiene anche quando si tiene conto che le donne in terapia dialitica sono circa un terzo in meno. Questa disuguaglianza di accesso al Tx, purtroppo, si verifica anche in età pediatrica (2,14), dove le bambine hanno meno accesso alla valutazione pre-trapianto e al Tx pre-emptive (15). Globalmente, tra i soggetti trapiantati, il rapporto uomini/donne è di circa 1,36 (16). Tutte le fasi, dal referral per la valutazione di idoneità fino all’iscrizione in lista attiva, sono propedeutiche per arrivare a un buon Tx e contribuiscono all’obiettivo di un’equità di accesso ad una terapia con indiscussi benefici. Le revisioni che hanno affrontato questo tema, in linea generale hanno osservato uno svantaggio per le donne in tutti gli steps che precedono il trapianto stesso (Fig. 1). In tutte le fasi preliminari al Tx (referral, inserimento in lista e mantenimento in lista attiva) nella maggior parte dei Paesi del mondo esiste una penalizzazione per le donne, riconducibile soprattutto a motivazioni psicologiche e culturali, piuttosto che a diversità biologiche o dello stato di salute (14,17). In generale, le donne ricevono da parte dello staff di cura meno informazioni circa il Tx quale opzione preferibile, così come, attraverso questionari strutturati, si è evidenziato che le donne con insufficienza renale manifestano meno interesse verso il Tx e hanno maggiori preoccupazioni circa la loro salute futura e circa le modificazioni corporee indotte dalla terapia post-Tx (17); tendono ad anteporre le loro responsabilità familiari rispetto alla possibilità di migliorare la propria condizione (18). D’altro canto, dai questionari somministrati ai nefrologi si evince che, forse in modo inconscio, alle donne viene attribuito un maggior grado di fragilità e vengono percepite come meno eligibili (17,18). Questo bias di selezione che andava a discapito delle donne, secondo studi più recenti, sembra presentare un’inversione di tendenza e le donne con fasce di reddito più elevato e quelle più giovani hanno raggiunto un’equità di accesso nella valutazione di idoneità. Anche nella fase successiva di work-up per l’inserimento in lista attiva, molte donne non arrivano a completare tutto l’iter e, per effettuare gli esami necessari, impiegano tempi più lunghi rispetto agli uomini; le donne in lista attiva sono solo il 40% circa di tutti i pazienti (19). È opportuno sottolineare che altri studi condotti in Paesi con un sistema sanitario universalistico non indicano una disparità di genere così evidente (19). Nella Figura 2 vengono riportati i dati del registro USRDS (https://usrds-adr.niddk.nih.gov/2022_accesso 07.09.2023), che mostrano sia una maggiore prevalenza degli uomini in lista d’attesa sia il diverso rate di Tx negli uomini e nelle donne, per entrambe le tipologie di trapianto, da donatore cadavere e da vivente. Nonostante la sopravvivenza del paziente e del graft risulti simile o lievemente superiore nelle donne che negli uomini, sia nel registro USRDS (Fig. 3) sia in altre casistiche, le donne vengono trapiantate di meno (-14% rispetto agli uomini) (20) e restano più a lungo in lista d’attesa (19). Verosimilmente in questo entrano in gioco fattori biologici legati al sesso, come la presenza di iperimmunità, con elevato titolo di anticorpi preformati (PRA), dovuti alle precedenti gravidanze (19-21). Per le donne in lista d’attesa, la possibilità di ottenere un trapianto si riduce di pari passo con l’aumentare dell’età anagrafica, anche se i benefici clinici ottenuti con il Tx sono sovrapponibili tra uomini e donne (14,22).

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Fig. 1 - Possibili barriere che condizionano una disuguaglianza di accesso al trapianto, nei vari step che precedono il trapianto stesso.
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Fig. 2 - Disparità di genere nei pazienti in lista d’attesa per trapianto secondo il Registro USRD (a, b); tasso annuo di trapianti per 100 pazienti in dialisi nel periodo 2010-2020 sia per il trapianto da donatore cadavere (c) che per il trapianto da vivente (d).

Nel trapianto da vivente, in molti Paesi del mondo (sia ad alto che a basso reddito), le donne contribuiscono alla maggioranza delle donazioni, rappresentando il 55-65% di tutti i donatori (23), sia verso i figli che verso il coniuge, mentre i maschi costituiscono la maggioranza dei riceventi (dal 65% al 78% dei riceventi) (14,21). Anche in Italia, secondo i dati del Centro Nazionale Trapianti (CNT), nel 66% dei trapianti da vivente, il rene proviene da una donatrice donna (24). La maggiore propensione alla donazione riconosce motivi clinici (spesso le donne godono di maggiore salute e di minori problematiche cardiovascolari), ma soprattutto è legata a fattori socio-culturali ed economici, come il tradizionale ruolo di caregiver nella famiglia e il desiderio di migliorare la qualità di vita del proprio congiunto. In Paesi come India e Bangladesh, una cultura di tipo patriarcale incide sul fatto che le donne si fanno carico del 70% delle donazioni (23). Al contrario, fattori prevalentemente economici hanno rappresentato fino a pochi anni fa il maggiore ostacolo negli uomini a proporsi come donatori (25), in quanto titolari del maggiore reddito familiare (19). La ridotta inclinazione degli uomini alla donazione si è andata modificando negli ultimi anni, grazie alla nefrectomia con tecnica laparoscopica, che consente periodi più brevi di astensione dal lavoro (14). In Paesi come l’Iran, in cui è previsto per le donazioni un rimborso economico, legalmente riconosciuto, il tasso di donatori uomini supera quello delle donne (21). Nel Tx da vivente con donatore non correlato, ancora una volta vi è una forte preminenza di donazione moglie vs marito rispetto al binomio marito vs moglie. Anche quando il partner si propone come donatore, la presenza di un elevato titolo di PRA porta a escludere il marito da questo percorso (21). Un incremento dei cosiddetti trapianti cross-over sicuramente può diventare la via percorribile per superare questa differenza di opportunità.

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Fig. 3 - Sopravvivenza del paziente e del graft, osservata a 3 anni dal trapianto da cadavere nel Registro USRDS.

Gli studi che hanno preso in considerazione gli esiti del paziente e del graft in relazione al sesso hanno fornito dati contrastanti e non conclusivi (14,19). Gli esiti del Tx sono condizionati dall’interazione tra fattori biologici legati al sesso e fattori comportamentali dovuti al genere (14). Mentre, in età pediatrica e negli adolescenti, le femmine presentano esiti peggiori rispetto ai maschi (26), nell’età adulta e, in particolare, dopo i 45 anni, le donne hanno un vantaggio di sopravvivenza del paziente e del rene (26). Un ampio studio proveniente dai dati dell’US Transplant Registry ha mostrato che, nei primi 6 mesi dopo il Tx, il sesso femminile manifesta circa un 10% in più di rischio di rigetto acuto (OR = 1,10, 95% CI 1,02-1,12), mentre, a lungo termine, le donne hanno un rischio ridotto (-10%) di perdere l’organo per rigetto cronico (27). Le donne, specialmente in epoca pre-menopausale, esprimono un’attivazione immunitaria più vivace, mediata in gran parte dall’effetto degli ormoni sessuali sul sistema immunitario (5) e questo spiegherebbe l’aumento dei rigetti acuti. Nel mismatch donatore maschio/ricevente femmina entrano in gioco anche gli antigeni minori di istocompatibilità H-Y, che possono innescare la reattività immunitaria, specialmente nelle donne più giovani (26). Questo svantaggio sul versante immunitario è in gran parte controbilanciato da una maggiore aderenza delle donne nel seguire la terapia immunodepressiva e le altre prescrizioni mediche per un corretto stile di vita (19). Ancora, nella valutazione degli esiti del graft occorre tenere conto che le riceventi donne generalmente hanno una taglia ed una richiesta metabolica inferiori rispetto ai maschi, fattori che contribuiscono a una migliore sopravvivenza dell’organo (26). Al contrario, nel mismatch donatore femmina/ricevente maschio, si può verificare un’importante discrepanza tra la massa nefronica trapiantata e il fabbisogno metabolico del ricevente uomo, che, nel lungo termine, può condurre all’esaurimento funzionale del graft (24) e, sempre secondo i dati del CNT, la differenza di taglia incide anche nel trapianto cardiaco sulla ridotta sopravvivenza del cuore (24). Infine, nella valutazione globale degli esiti, occorre ricordare come le donne trapiantate, nel loro compito di accudimento dei bambini, risultano maggiormente esposte al rischio infettivo e che presentano un maggiore rischio di fratture, specialmente se in terapia protratta con steroidi (14).

Risposta alla terapia immunosoppressiva nel contesto del trapianto

Uomini e donne presentano una diversa risposta terapeutica ai farmaci, condizionata da fattori costituzionali, come peso e percentuale di tessuto adiposo, che modificano il volume di distribuzione dei farmaci e che portano a differenze nella farmacocinetica e nella farmacodinamica dei vari principi attivi. Esistono poi differenze tra i due sessi nel tempo di vuotamento gastrico e di transito intestinale, che influiscono, a loro volta, sull’assorbimento dei farmaci. Infine, entrano in gioco fattori non facilmente misurabili, come il polimorifismo dei singoli nucleotidi dei geni, che codificano per il citocromo CYP3A4 e CYP3A5, oppure la diversa espressività nei due sessi dei trasportatori tubulari renali, coinvolti nell’eliminazione del principio attivo. Nell’ambito del trapianto di rene esistono differenze del metabolismo dei principali farmaci immunosoppressori, che possono giocare un ruolo nel modificare l’esposizione al farmaco, potenziando in alcuni casi l’immunosoppressione o al contrario aumentando la tossicità. Le donne rispetto agli uomini presentano un’aumentata clearance di entrambi gli inibitori delle calcineurine (CNI) (28,29). Altre differenze si riscontrano nel sesso femminile nelle cellule mononucleate periferiche, caratterizzate da una minore espressività dei geni che codificano per l’efflusso delle CNI, portando quindi a una maggiore esposizione intracellulare al farmaco. Secondo Momper una maggiore concentrazioni intracellulare, a fronte di un’uguale concentrazione plasmatica, potrebbe spiegare perché le donne presentano un tasso minore di rigetto cronico (28). Anche la clearance dell’everolimus nelle donne risulta aumentata di circa un 20% rispetto agli uomini (29). Al contrario, gli studi sulla farmacocinetica del micofenolato (MMF) nei trapiantati hanno mostrato che gli uomini hanno una clearance più rapida e superiore del 10-25% rispetto alle donne (20), che quindi sono esposte a maggiori concentrazioni plasmatiche di MMF e a eventi avversi gastrointestinali più gravi (30,31). Anche se ormai tutti i Centri trapianto adottano politiche di risparmio e di sospensione precoce degli steroidi, questi sono ancora impiegati in fase di induzione e nella terapia del rigetto acuto. Dal punto di vista biologico le donne presentano una clearance inferiore del prednisolone e un’aumentata esposizione dopo 6 ore dalla somministrazione per effetto degli ormoni sessuali (28).

Allo stato attuale le differenze di farmacocinetica e farmacodinamica non si sono tradotte in indicazioni per utilizzare dosaggi diversificati tra uomini e donne. È comunque verosimile che una migliore comprensione di queste differenze biologiche possa portare a progressi nella personalizzazione del trattamento e possa migliorare i risultati del trapianto di organi solidi.

Considerazioni conclusive

Nella patogenesi delle malattie autoimmuni e in tutto il continuum del trapianto di rene, sesso e genere influenzano l’insorgenza della malattia, il quadro clinico e la risposta alla terapia. Anche nell’ambito del trapianto, molto spesso le donne sono sotto-rappresentate nei trial clinici che valutano l’efficacia degli immunosoppressori. Negli Stati Uniti il National Institute of Health ha richiesto ai ricercatori che nella pianificazione degli studi e nelle analisi dei risultati vengano esaminate anche le differenze legate al sesso (32), al fine di migliorare l’efficacia delle terapie, riducendo possibilmente la tossicità.

Disclosures

Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

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