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G Clin Nefrol Dial 2022; 34: 118-121

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2022.2518

SHORT COMMUNICATION

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La rete dialitica ai tempi della pandemia Covid: prospettive strutturali

UOC Nefrologia e Dialisi, AUSL Modena - Italy

Dialysis network during Covid: structural perspectives

Risk profile of dialysis people as regards Covid 19 pandemic is unique; they stay together for some hours in an open-space, sharing transport before and after treatment as a shuttle between families and dialysis centre. As demonstrated by the waves of pandemic, isolation becomes more and more difficult, especially in centres lacking pathways and spaces devoted to contaminated patients. In our setting, dialysis centres were born as marginal areas, discarded from other uses and their design was seldom addressed to out-patients treatment. Logistic and preventive needs (spaces, distances, pathways) were often laid down to a social vision of dialysis.

We describe our immediate response to adapt a network of public dialysis centres to pandemic. These measures, and the dedication of our personnel, resulted in a very low mortality rate, but we are still reporting a progressive increase of Covid patients. Organizational response becomes useless without structural changes. We therefore propose a plan oriented to transform dialysis centres into dynamic and safe places of care.

Since other pandemics are expected in the future, it appears mandatory to redirect our choices towards a more conservative approach in designing a dialysis point of care, resembling the isolated pavilions of older hospital buildings. Separate entries and exits, mobile walls and large waiting rooms are needed; some personnel redundancy will be required in spite of lean management principles, strongly disproved by Covid. Dialysis rebuilding will be an extraordinary opportunity to create a sustainable way of treatment.

Indirizzo per la corrispondenza:
Decenzio Bonucchi
UOC Nefrologia e Dialisi
AUSL Modena
Ospedale Ramazzini
Via Molinari 2
41012 Carpi (MO) - Italy
d.bonucchi@ausl.mo.it

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2022 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).

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Introduzione

Fino al secondo dopoguerra la cura sanatoriale fu l’unico rimedio contro la tubercolosi (1) e il concetto di isolamento, coniugato con la razionalità e l’umanizzazione delle cure, guidò la costruzione degli ospedali destinati a questo tipo di malattia. Negli ospedali, il concetto di “padiglione” era già stato abbandonato a favore di forme architettoniche completamente distaccate da criteri di risparmio energetico, ecologia dei percorsi e prevenzione delle malattie diffusive.

Per la dialisi, la storia è ancora più complessa e di difficile comprensione. La rapida crescita della domanda negli anni ’70, la periferizzazione accelerata degli anni ’90 attraverso la realizzazione delle assistenze limitate e la ricerca di profitto nel campo privato portano alla crescita per “apposizione” di Centri Dialisi privi di ogni razionale architettonico e sovente risultato del riutilizzo di spazi di recupero all’interno dell’ospedale.

Ne sono un esempio le salette cosiddette chirurgiche, dove si posizionano cateteri venosi centrali senza Trendelemburg o si confezionano accessi con protesi vascolari senza aspiratori delle perdite ematiche. Più di recente, la “visione socializzante” dell’incontro in dialisi, specialmente per gli anziani, orienta gli architetti a creare gli open-space, stanze con 6-9 postazioni dialitiche, sorvegliabili da un minimo numero di infermieri con un solo sguardo.

Anche progetti recenti sottolineano la preminenza degli aspetti psicologici della permanenza in stanza dialisi: “L’interno è concepito come uno spazio aperto… e crea per il malato un ampio respiro psicologico consentendo vari punti di vista” (Padiglione Emodialisi Ospedale di Pistoia – Studio Vannetti Architetti, 2005) (2) e, pur centrando l’obiettivo dei percorsi separati, questi progetti non superano la visione socializzante dello spazio aperto, in contrasto con il trattamento dialitico in situazioni di rischio diffusivo (Fig. 1).

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Fig. 1 - Open-space in dialisi; Ospedale di Pistoia (Aut. richiesta).

Nonostante la conoscenza precisa di malattie infettive caratteristiche del soggetto fragile, come quelle da Clostridium, Klebsiella, Acinetobacter e Coli multiresitenti, richiedenti almeno l’isolamento funzionale, nei Centri Dialisi ha tardato a svilupparsi una coscienza chiara del rischio infettivo. A ciò hanno contribuito la concentrazione monotematica sulla manipolazione dei CVC e, come contraltare, il senso di sicurezza creato dai sistemi di sterilizzazione dei monitor di dialisi, potenzialmente capaci di abbattere ogni rischio water-blood-borne. Eppure la presenza delle stanze contumaciali per i portatori di HBsAg costituiva un monito preciso e lo stesso valeva per i report della trasmissione intra-dialitica dell’epatite C (3).

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Fig. 2 - Cronogramma sinottico della pandemia e dei provvedimenti messi in atto nella Rete Nefrologica Modenese.

L’esperienza Covid in una Rete Dialitica Diffusa

Nella seconda metà di febbraio 2020, cominciò a concretizzarsi la minaccia Covid (4).

La nostra Unità Operativa si occupa delle cure primarie nefrologiche per oltre mezzo milione di abitanti; i Centri Dialisi sono 8, di cui 6 concepiti come open-space.

La reazione nella prima fase fu necessariamente organizzativa. Dal 26 febbraio venne organizzato il triage pre-dialitico (Fig. 2), anche se ostacolato dagli esigui spazi delle sale di attesa dei Centri Dialisi.

Contemporaneamente, si imposero due necessità prioritarie di tipo strutturale: descrivere percorsi separati per pazienti contagiati e delimitare spazi contumaciali.

Il nostro territorio si estende per circa 140 km e non sarebbe stato sufficiente individuare un unico hub Covid: a eccezione dei dializzati Covid con grave coinvolgimento respiratorio, era necessario sfruttare gli ospedali periferici per evitare il collasso delle strutture di terapia intensiva e delle strutture dialitiche a loro collegate. In un solo Centro è stato relativamente facile individuare una stanza delimitabile attraverso un percorso indipendente di entrata e uscita.

In un secondo Centro, la nostra sede di dialisi ospedaliera, abbiamo deciso di sfruttare un accesso secondario, situato su un terrazzo. Per superare una scala di sette gradini, è stata costruita una rampa in legno (Fig. 3), attivata il 16 marzo 2020. Questa operazione ci ha consentito di utilizzare la stanza contumaciale Au+ per la dialisi Covid.

Il problema dei trasporti nella fase pandemica, anche se cruciale per l’impatto economico e logistico sul terzo settore e sul personale della dialisi, esula dallo scopo del presente lavoro.

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Fig. 3 - Ospedale di Carpi (MO). La rampa costruita il 16 marzo 2020 consente di raggiungere dall’esterno, attraverso un terrazzo, la stanza contumaciale per pazienti Covid. È tuttora in funzione.

I requisiti minimi per un nuovo Centro Dialisi

L’esperienza Covid ha messo in crisi molti elementi caratteristici del cosiddetto “lean management”.

Nella fase iniziale dell’emergenza le scorte di materiali di consumo e di DPI avrebbero fatto comodo, ma i magazzini dovevano essere tenuti vuoti. Piccole task-force di personale addestrato avrebbero vicariato le carenze di personale dovute al contagio e ai successivi provvedimenti di sospensione nei confronti degli operatori No-Vax.

Allo stesso modo, la mancanza di lucidità progettuale degli anni prima della pandemia, limitata dall’orientamento al riutilizzo in economia di spazi altrimenti destinati, ci ha messo di fronte a situazioni non correggibili dal punto di vista strutturale. Nell’arco di quasi tre anni, richieste di modifiche edilizie di portata ridotta e minimo impatto economico non sono state evase.

Requisiti strutturali

Il Centro Dialisi non potrà più essere uno spazio ricavato da spazi dismessi; l’integrazione con il percorso della malattia renale ne richiede il collegamento con spazi ambulatoriali e di ricovero, oltre a prevedere una congrua dotazione di spazi di servizio (Fig. 4).

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Fig. 4 - Modello generale di un Centro di Nefrologia e Dialisi (A: ambulatori; S: servizi; D: dialisi; N: nefrologia degenza). Gli elementi del modello possono essere dimensionati e combinati fra loro in base alle esigenze logistiche.

L’esperienza maturata nel corso della pandemia Covid ha riportato alla ribalta alcuni concetti di edilizia ospedaliera che sembravano superati. I centri di cura necessitano di vie di ingresso e uscita separate in base alla presenza/assenza di rischio infettivo.

La personalizzazione delle cure e la loro intensità richiedono l’uso di risorse differenziate. Il progresso ottenuto nella gestione della seduta dialitica e il conseguente miglioramento della tolleranza del trattamento da parte del paziente consentono di configurare rapporti numerici variabili fra assistiti e infermieri. Il classico rapporto 3:1 può essere variato a 4:1 con differenti configurazioni delle stanze di dialisi che sono attualmente disegnate secondo multipli di 3.

La modularità degli spazi, ottenuta con pannelli scorrevoli, può consentire la configurazione al bisogno. In pratica, si può schematizzare un Centro Dialisi come una stecca orizzontale su cui scorrono pannelli trasversali mobili. Ai due lati della stecca esistono accessi alle stanze speculari, corrispondenti a un percorso contaminato e a uno non contaminato. Ogni percorso è dotato di un’entrata e di un’uscita indipendenti (Fig. 5)

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Fig. 5 - Schema dei percorsi e degli spazi modulabili con pareti mobili (frecce gialle).

Conclusione

L’abnegazione del personale ha consentito di limitare i danni ai nostri pazienti: a fronte di un contagio montante, destinato a investire progressivamente l’intera comunità di dialisi, l’organizzazione non ha negato il trattamento in nessuna situazione e ha gestito direttamente le vaccinazioni, aumentando progressivamente la protezione clinica e limitando quindi le conseguenze sui contagiati.

L’esigenza che si pone adesso riguarda la modalità di risposta a emergenze simili, che sono previste in tempi relativamente brevi, nell’ordine di alcuni anni (5). In questo breve periodo dovremo quindi prevedere:

per i Centri esistenti:

  • dotazione di almeno uno spazio contumaciale nei Centri open-space
  • apertura di ingressi e percorsi alternativi
  • individuazione di ambulatori accessibili dall’esterno

per i Centri futuri (criteri di sostenibilità e requisiti di accreditamento):

  • modularità degli spazi
  • doppi percorsi contaminato – non contaminato
  • spazi dedicati e non di recupero
  • spioncini e feritoie per la sorveglianza e il passaggio di oggetti

Non si tratta soltanto di scelte economiche e architettoniche, scelte che saranno sicuramente condizionate dalla congiuntura sfavorevole che attraversiamo, ma si tratta di superare la concezione di marginalità della dialisi, concezione che fa ignorare al panorama medico la specificità del rischio dialitico.

Oltre all’inflazionata fragilità clinica e immunologica del paziente dializzato, è necessario far emergere anche la debolezza rappresentativa di questa piccola quota di pazienti, esposti all’effetto “spola” fra Centro Dialisi e famiglia-società (attraverso i mezzi di trasporto) 156 volte all’anno, ma quasi sempre messi in coda rispetto a malati dotati di una maggiore capacità di “far rumore”.

Al momento della stesura di questo articolo l’ennesima ondata (verosimilmente la quinta) coinvolge i nostri due centri hub costretti a trattare il 4% circa della nostra popolazione dialitica negli stessi spazi contumaciali di inizio pandemia. Un ringraziamento va al personale infermieristico, che ha sopportato il maggior peso della pandemia. Questa esperienza, infatti, ha messo a dura prova le capacità reattive della componente umana del sistema (gli operatori): una ripresa del contagio o, peggio, una nuova epidemia ci troverebbe stanchi ed esposti al pericolo.

Disclosures

Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Authors contribution: All Authors contributed equally to this manuscript.

Bibliografia

  • 1. Del Curto D. Il sanatorio alpino. Architetture per la cura della tubercolosi dall’Europa alla Valtellina. Roma, ARACNE Editrice. 2010.
  • 2. Padiglione emodialisi Ospedale di Pistoia – Studio Vannetti Architetti, 2005. Online (Accessed November 2022)
  • 3. Lombardi M. Il punto su epatite B e C in dialisi: riflessioni sulla contumacia dei pazienti. G Tec Nefrol Dial. 2014;26(4):321-325. CrossRef
  • 4. Quintaliani G, Reboldi G, Di Napoli A, et al; Italian Society of Nephrology COVID-19 Research Group. Exposure to novel coronavirus in patients on renal replacement therapy during the exponential phase of COVID-19 pandemic: survey of the Italian Society of Nephrology. J Nephrol. 2020;33(4):725-736. CrossRef PubMed
  • 5. Adashi EY, Cohen IG. The Pandemic Preparedness Program: Reimagining Public Health. JAMA.2022;327(3):219–220. CrossRef PubMed