G Clin Nefrol Dial 2022; 34: 109-117 ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2022.2489 REVIEW |
Rene policistico autosomico dominante: dalla patogenesi alla terapia
Autosomal dominant polycystic kidney: from pathogenesis to therapy
Autosomal Dominant Polycystic Kidney (ADPKD) is the most common genetically determined kidney disease of Mendelian inheritance. It has a variable prevalence, depending on the case series, from 1:1,000 to 1:2,500, and represents the fourth cause of renal failure in the world.
It is part of the so-called ciliopathies and is mainly caused by the mutation of two genes: PKD1, located on chromosome 16p and the PKD2 gene, located on chromosome 4q and coding for Polycystin-2 (PC2); although two other disease-causing genes have recently been identified: DNAJB11 and GANAB. These two proteins consist, respectively, of a calcium channel and a transmembrane receptor, and they play a decisive role in regulating cell proliferation, division and differentiation, apoptosis and autophagy.
The molecular mechanisms underlying the genesis of the cysts are multiple and for this reason not yet completely understood and although several of them have been the subject of preclinical and clinical studies aimed at evaluating the efficacy of therapies that could continue to interfere in a specific way, to date, only tolvaptan and octreotide-LAR (the latter only in Italy) have been approved for the treatment of renal disease secondary to ADPKD.
Here, we therefore recapitulate the different pathogenetic pathways in ADPKD and the possible therapeutic treatments.
Keywords: Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease (ADPKD), Cyst formation, Renal tissue damage
Received: September 8, 2022
Accepted: September 13, 2022
Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd
© 2022 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu
Introduzione
Il rene policistico autosomico dominante (ADPKD) è la più comune malattia renale geneticamente determinata a eredità mendeliana. Ha una prevalenza variabile, a seconda delle casistiche, da 1:1.000 a 1:2.500, e rappresenta la quarta causa di insufficienza renale nel Mondo (1).
Fa parte del gruppo di patologie denominate ciliopatie ed è causato, principalmente, dalla mutazione di due geni: PKD1, localizzato sul cromosoma 16p e codificante per la Policistina-1 (PC1) e il gene PKD2, localizzato sul cromosoma 4q e codificante per la Policistina-2 (PC2), anche se recentemente sono stati individuati altri due geni causativi di malattia: DNAJB11 (2) e GANAB (3). Queste due proteine consistono, rispettivamente, in un canale per il calcio e in un recettore transmembrana e sono localizzate principalmente nel ciglio primario, dove svolgono un ruolo determinante nel regolare la proliferazione, la divisione e la differenziazione cellulare, l’apoptosi e l’autofagia (4).
La patologia si caratterizza per la formazione di innumerevoli cisti nei reni, che ne causano il progressivo ingrandimento e determinano dolore, ematuria e declino della funzione renale fino all’insufficienza renale terminale (5). Accanto a quelle renali, nel decorso della malattia compaiono anche manifestazioni sistemiche: ipertensione arteriosa, cisti epatiche, pancreatiche e spleniche, anomalie valvolari cardiache e aneurismi encefalici (6).
Si ritiene che PC-1 e PC-2 inibiscano la cistogenesi in maniera dose dipendente (7) e che questa si verifichi quando le loro concentrazioni si riducono al di sotto di un livello critico, determinando la riduzione dei livelli intracellulari di Calcio, che causa, tra l’altro, un aumento dei livelli intracellulari di AMP ciclico (cAMP) nelle cellule epiteliali tubulari con conseguente attivazione della cistogenesi (8). Tuttavia, anche se le alterazioni della via del cAMP sono quelle più studiate nell’ADPKD, le vie regolate dalle PC sono molteplici e coinvolgono anche i processi metabolici mitocondriali, sia glicidici che lipidici; inoltre, l’accrescimento delle cisti scatena anche altre risposte, da parte dei tessuti adiacenti, con insorgenza di infiammazione e fibrosi, che concorrono al declino della funzione renale.
Tuttavia, scandagliare analiticamente tutte le alterazioni riscontrate nella malattia porterebbe a dilungarsi troppo (9); pertanto analizzeremo solo quelle anomalie che sono al momento oggetto di studi clinici con farmaco e che potenzialmente potrebbero condurre a introdurre importanti novità terapeutiche, nonché le vie su cui è possibile intervenire già oggi nella comune pratica clinica.
Terapie attualmente disponibili
Tolvaptan
Il Tolvaptan è stato il primo farmaco a essere approvato per il trattamento dell’ADPKD; esso è un antagonista dei recettori V2 della Vasopressina (V2R) accoppiati alla proteina Gs, localizzati nel versante basolaterale della membrana dei dotti collettori renali. Diversi studi animali hanno dimostrato la sua efficacia nel limitare la cistogenesi attraverso una riduzione dei livelli intracellulari di cAMP (10). La pietra miliare nel processo che ha condotto al comune utilizzo nella pratica clinica di questo farmaco è rappresentata dal trial registrativo TEMPO 3:4 (Tolvaptan Efficacy and Safety in Management of Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease and Its Outcomes) (11), in cui sono stati arruolati 1.445 pazienti affetti da ADPKD e malattia renale in stadio iniziale (cioè con eGFR superiore a 60 mL/min) e ad alto rischio di progressione (cioè con volume renale totale, TKV, superiore a 750 mL). In questi pazienti, il trattamento con tolvaptan era in grado di rallentare l’aumento volumetrico del TKV del 49% e il declino del GFR del 26%. L’estensione open-label di questo trial (il TEMPO 4:4) ha inoltre dimostrato che l’efficacia del tolvaptan persiste per tutta la durata del trattamento (12).
Successivamente, l’efficacia del tolvaptan è stata dimostrata anche in stadi più evoluti di malattia renale in pazienti di età più avanzata, mediante il trial REPRISE (Replicating Evidence of Preserved Renal Function), in cui il farmaco è stato in grado di rallentare del 38% la velocità di declino del GFR (13), se iniziato entro i 55 anni di età.
Questi risultati hanno indotto le agenzie del farmaco ad approvare l’impiego del tolvaptan per il trattamento dell’ADPKD, secondo specifici criteri, spesso diversi tra diverse Nazioni. Questo è un passo avanti ragguardevole per i pazienti affetti, anche se limitato dalla ridotta tollerabilità (per via della poliuria) e dal rischio di tossicità epatica (tanto che è necessario il monitoraggio dapprima mensile e, dopo i primi 18 mesi di trattamento, trimestrale degli indici di epatolisi), a fronte di un’efficacia solo moderata. Infatti, dopo un anno di trattamento, solo il 25% dei pazienti lo interrompe (il 4% per la poliuria, il 2% per la tossicità epatica) (14). Inoltre, molti pazienti, soprattutto di più giovane età, per questi stessi motivi, rifiutano di iniziare il trattamento.
Per questi motivi, è importante studiare e applicare strategie che possano limitare l’acquaresi ed evitare gli effetti sistemici epatici.
Per quanto riguarda l’acquaresi, la via principale per poterla limitare è quella di ridurre l’escrezione di osmoli efficaci attraverso le urine, pertanto, osservare un’alimentazione iposodica ed evitare gli eccessi alimentari di proteine potrebbe in qualche misura contenere l’escrezione di acqua libera (15).
Inoltre, un trattamento cross-over recentemente pubblicato suggerisce che l’aggiunta in terapia di un diuretico tiazidico o della metformina sarebbe in grado di limitare la poliuria (in particolare l’aggiunta del tiazidico potrebbe ridurla del 35%) (16). Si tratta comunque di dati da confermare mediante studi su più larga scala e di maggiore durata, anche al fine di valutarne l’impatto sulla progressione della malattia.
Per quanto riguarda, invece, gli effetti sistemici ed epatici, attualmente la ricerca farmacologica sta percorrendo due strade: l’impiego di vaptani non epato-tossici (lixivaptan) e il ricorso alla target therapy.
Lixivaptan
Il Lixivaptan è un vaptano che agisce in maniera identica al Tolvaptan, che, in alcuni studi preclinici e clinici, aveva dimostrato un ottimo profilo di rischio epatico. Pertanto, è stato avviato il trial clinico randomizzato ALERT, in cui sono stati inclusi unicamente pazienti che in precedenza avevano dovuto interrompere la terapia con Tolvaptan per via dell’insorgenza di un danno epatico. Gli entusiasmanti risultati ottenuti da questo trial, anche nella fase open-label, hanno portato ad avviare anche il più vasto trial ACTION, in cui sono stati inclusi pazienti affetti da ADPKD, a prescindere dal pregresso danno epatico da tolvaptan. Tuttavia, nel giugno 2022 un paziente dello studio ALERT ha manifestato tossicità epatica e questo, non confermando l’assoluta sicurezza del farmaco dal punto di vista epatico, ha indotto la casa farmaceutica a interrompere il trial e il futuro sviluppo del farmaco.
Target Therapy
Raggiungendo in maniera selettiva il rene e in particolare le cellule tubulari renali in pazienti affetti da ADPKD, è possibile raggiungere concentrazioni maggiori del farmaco nelle cellule bersaglio, limitando o annullando gli effetti sistemici della terapia. Questo può essere fatto coniugando il farmaco a ligandi per recettori espressi specificatamente sulle cellule epiteliali tubulari, e il farmaco entrerebbe nella cellula bersaglio per un processo di endocitosi mediata da recettore.
Nel caso dell’ADPKD sarebbe possibile coniugare con folato (17), per sfruttare il recettore alfa per il folato (FRα), oppure con anticorpi monoclonali (18) diretti contro il polymeric immunoglobin receptor (pIgR), altamente espresso nella membrana basolaterale delle cellule epiteliali tubulari e in grado di legare immunoglobuline polimeriche (pIg) di sottotipo IgA e IgM. Il complesso pIgR:pIg, per transcitosi passa alla membrana apicale, dove avverrebbe il rilascio proteolitico dell’immunoglobulina polimerica (coniugata con il farmaco) nel lume della cisti.
Octreotide-LAR
L’Octreotide-LAR (long acting) fa parte degli analoghi della somatostatina e agisce andando ad attivare i recettori per la somatostatina, accoppiati alla proteina Gi con conseguente blocco della produzione di cAMP.
Numerosi trial clinici randomizzati sono stati condotti per valutare l’efficacia di questa categoria di farmaci nel rallentare la progressione della malattia e nessuno di essi ha evidenziato la capacità di rallentare il declino dell’eGFR (mentre sarebbero efficaci nel rallentare l’aumento volumetrico sia dei reni che del fegato di pazienti affetti da ADPKD).
Tuttavia, una sotto-analisi del trial clinico ALADIN 1 (The Long-Acting somatostatin on DIsease progression in Nephropathy due to autosomal dominant polycystic kidney disease) suggerisce che l’Octreotide-LAR potrebbe ridurre il rischio di progressione della Malattia Renale Cronica (MRC) verso l’insufficienza renale terminale (ESKD) nei pazienti affetti da ADPKD con danno renale avanzato. Pertanto, dall’agosto del 2018 è possibile, solo in Italia e con i benefici della legge 648/96, prescrivere questo farmaco nei pazienti affetti da ADPKD con danno renale avanzato e alto rischio di progressione.
Terapia medica di base
La gestione di base dei pazienti affetti da ADPKD prevede, al momento, di attuare le stesse strategie messe in atto per i pazienti affetti da MRC da altre cause.
Fondamentale è il controllo della pressione arteriosa, che prevede tuttavia limiti più stringenti, soprattutto nei pazienti giovani e con funzione renale conservata o solo lievemente compromessa (19). Inoltre, come evidenziato da una recente sotto-analisi dello studio HALT, un adeguato controllo pressorio permette di rallentare il declino della funzione renale nei pazienti a più alto rischio di progressione, secondo la classificazione Mayo (20).
L’aspetto nutrizionale riveste poi un ruolo fondamentale, soprattutto alla luce delle recenti evidenze che suggeriscono un profondo sovvertimento metabolico nelle cellule di ADPKD, sia glicidico (effetto Wharburg) che lipidico e amminoacidico, secondo cui la restrizione calorica e la chetogenesi potrebbero rallentare la cistogenesi (21). Tuttavia, i dati sono ancora insufficienti, quindi al momento non è possibile suggerire un approccio alimentare diverso da quello generalmente impiegato nella MRC da altre cause (22).
Importantissimo, inoltre, è limitare l’apporto alimentare di sale. Infatti, un recente studio retrospettivo suggerisce che la quantità di sale consumata con l’alimentazione influenza in maniera direttamente proporzionale i livelli plasmatici di copeptina e la velocità di declino del GFR, mentre questa correlazione non esisterebbe con l’introito proteico (23); inoltre, come suggerito dal trial HALT, il maggiore consumo di sale è associato a un maggiore aumento volumetrico dei reni (24).
Sebbene venga suggerito un apporto idrico giornaliero superiore a 3 litri (cosa che, unitamente al ridotto consumo di sale e di proteine, riduce il rischio di nefrolitiasi), i dati al momento disponibili non sono ancora conclusivi circa l’effettiva capacità della terapia idropinica di rallentare la progressione della malattia (25,26). Maggiori informazioni verranno fornite una volta conclusi i trial PREVENT-ADPKD e DRINK, che valuteranno l’efficacia e la sicurezza dell’elevato apporto idrico nei pazienti affetti da ADPKD (27-29).
Farmaci oggetto di studio in trial clinici
Inibitori della glucosilceramide sintetasi (GCSi)
Come in diverse malattie da accumulo lisosomiale, in maniera del tutto inaspettata, considerate le attuali conoscenze circa i meccanismi patogenetici che lo causano, anche l’ADPKD è caratterizzato da un aumento dell’attività della GCS, che determina un accumulo di glicosfingolipidi (GSL) come glicosilceramide (GL-1), lattosilceramide (GL-2) e GM3 (30,31).
Inoltre, in alcuni modelli animali di ADPKD, il trattamento con GCSi ha ridotto significativamente la crescita delle cisti e preservato la funzione renale. Pertanto, nell’ottobre 2018 è stato iniziato il trial clinico STAGED-PKD per valutare l’efficacia del venglustat nei pazienti con malattia a rapida progressione secondo la classificazione Mayo (classi 1C-1E) e GFR fra 30-90 mL/min/1,73 m2 (32); tuttavia, nell’agosto 2021, un’analisi ad interim ha evidenziato l’assenza di efficacia del farmaco, pertanto il trial è stato interrotto e ancora non sono stati pubblicati risultati.
Attualmente è in corso un trial clinico di fase 1 in cui verrà valutato AL01211, un altro GCSi, in volontari sani e in pazienti affetti da ADPK (33).
Attivatori del Fattore 2 correlato al Fattore Nucleare Eritroide-2 (Nrf2)
Lo stress ossidativo è un fattore significativamente correlato alla progressione dell’ADPKD. In condizioni normali, Nrf2 è legato ad alcune proteine che ne determinano l’ubiquitinazione e la degradazione mediata da proteasoma; al contrario, in condizioni di stress ossidativo, Nrf2 è libero di traslocare nel nucleo dove regola la trascrizione di numerosi geni coinvolti nella regolazione dello stress ossidativo (34,35).
In alcuni modelli animali ortologhi di ADPKD, la delezione del gene per Nrf2 peggiorava il fenotipo cistico, mentre l’attivazione farmacologica di Nrf2 lo migliorava (34).
Il Bardoxolone è un potente attivatore di Nrf2 e del fattore nucleare kB (36), che regola un pathway infiammatorio. Il farmaco è stato impiegato in alcuni trial che hanno incluso pazienti affetti da nefropatia diabetica, in cui ha determinato un aumento del GFR con aumento dell’albuminuria (probabilmente a causa di un aumento della filtrazione glomerulare) comportando numerosi eventi di scompenso cardiaco, che tuttavia poteva essere evitato somministrando il farmaco solo in assenza di fattori di rischio per scompenso (37,38). Pertanto, attualmente il farmaco è oggetto di studio nel trial FALCON, in cui sono inclusi pazienti affetti da ADPKD a rapida progressione (39).
Modulatori del CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator)
Nelle cisti renali di pazienti affetti da ADPKD, il CFTR è localizzato sul versante apicale della membrana e media la secrezione di ioni cloruro nel lume della cisti, che è seguita dal passaggio transepiteliale di sodio e di acqua, con conseguente espansione della cisti (40,41).
L’attività del canale è regolata dalla Protein Kinasi A (PKA) e dalla Protein Kinasi attivata dall’AMP (AMPK), pertanto essa dipende dai livelli intracellulari di cAMP e mutazioni in omozigosi del CFTR (come nella fibrosi cistica) si caratterizzano per una minore gravità del fenotipo cistico (42,43).
In alcuni modelli murini di ADPKD, l’impiego di tiazolidindioni e glicina idrazina, due classi di inibitori del CFTR (CFTRi), ha permesso di ridurre la formazione di cisti (44). Inoltre, il Lumacaftor (farmaco inizialmente impiegato nella fibrosi cistica), migliorando il folding e il trafficking cellulare del CFTR e favorendo il suo riposizionamento nella membrana basilaterale della cellula, permette di migliorare il fenotipo cistico in alcuni modelli sperimentali animali di ADPKD (45).
Sulla base di queste premesse, è stato disegnato e attualmente è in fase di svolgimento un trial clinico randomizzato di fase 2 in cui verrà valutata l’efficacia di GLPG2737 (un CFTRi) nel rallentare la progressione della malattia in pazienti affetti da ADPKD (46).
Metformina e analoghi delle biguanidi
Nelle cellule di ADPKD vi è un aumento dei livelli di cAMP con conseguente inibizione della proteina AMPK che stimola la proliferazione cellulare e la secrezione intracistica di fluido. La Metformina attiva AMPK e per questo potrebbe attenuare la progressione della malattia (47).
Diversi studi preclinici, condotti su modelli animali di ADPKD (sia in vitro che in vivo), hanno dimostrato l’efficacia della Metformina nel rallentare la progressione della malattia.
Tra i primi studi condotti ve ne è uno del 2011 (48) in cui sono stati utilizzati modelli animali di ADPKD (di topo e di cane) a progressione molto rapida nei quali il trattamento con Metformina rallentava la formazione e lo sviluppo di cisti, attenuando la progressione del danno renale. Studi successivi condotti su altri modelli animali hanno confermato la sua efficacia non solo nella malattia renale (49), ma anche nella malattia epatica (50). Inoltre, la Metformina, in alcuni modelli sperimentali murini, riduce l’espressione di geni coinvolti nella flogosi e di numerosi marcatori di danno renale (51).
Al contrario, invece, uno studio del 2019 non ha rivelato alcun effetto della Metformina nella progressione del danno renale in un modello murino di ADPKD (52). Analogamente, un recente studio sperimentale cinese su modello murino di ADPKD suggerirebbe che la Metformina potrebbe addirittura peggiorare il fenotipo cistico nelle fasi avanzate della malattia (53).
Uno studio retrospettivo italiano (54) ha confrontato la velocità di peggioramento della funzione renale, nei tre anni precedenti all’arruolamento, in 7 pazienti diabetici affetti da ADPKD e in trattamento con Metformina per il diabete mellito (con un dosaggio di almeno 500 mg due volte al giorno), rispetto a 7 pazienti con caratteristiche analoghe non trattati. Nel primo anno di osservazione, la funzione renale è peggiorata in media del 2,5% nei pazienti trattati con Metformina e del 16% in quelli non trattati, mentre, nei due anni successivi, la funzione renale è rimasta stabile solo nei pazienti in trattamento con Metformina, raggiungendo una differenza, al termine dei tre anni di follow-up, del 50%.
Un trial clinico randomizzato controllato statunitense (55) ha arruolato 97 pazienti affetti da ADPKD, assegnandoli casualmente al trattamento con Metformina (1.000 mg due volte al giorno) o con Placebo (rapporto 1:1 tra i due bracci del trattamento). Nei 24 mesi di trattamento, la Metformina ha mostrato un buon profilo di tollerabilità (con stessa incidenza di eventi avversi dovuti a intolleranza al farmaco rispetto al placebo) e ha mostrato (anche se in maniera non statisticamente significativa) una tendenza a ridurre la progressione della malattia (sia in termini di peggioramento della funzione renale che in termini di aumento volumetrico dei reni).
Un altro trial clinico statunitense (56) è giunto a risultati del tutto simili trattando per 12 mesi 22 pazienti con metformina (la dose prescritta era di 2.000 mg al giorno, mentre la dose mediana assunta era di 1.500 mg al giorno) e 23 pazienti con placebo, evidenziando un buon profilo di rischio e tollerabilità, non diverso da quello del placebo.
Sono tutti risultati molto incoraggianti, ma ancora siamo molto lontani dal poter affermare con certezza che la Metformina possa effettivamente migliorare l’andamento della malattia; per questo altri studi clinici randomizzati controllati sono in corso.
Tra questi, ve ne è uno tutto italiano di fase III, finanziato con fondi AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) destinati alla Ricerca Indipendente, che vede coinvolte 15 Nefrologie, coordinate dalla nefrologia del Policlinico di Bari (57).
Infine, è in cantiere un altro trial clinico randomizzato internazionale (coordinato dall’Australia e che vedrà coinvolta anche l’Italia) di confronto tra Metformina+Tolvaptan e Tolvaptan+Placebo in cui, a differenza dei trial precedenti, verrà impiegata Metformina in formulazione a rilascio prolungato (58).
Inibitori dei miRNA
Questa nuova categoria di farmaci agisce bloccando specifici microRNA, che sono piccole sequenze non codificanti di RNA che agiscono da inibitori post-trascrizionali dell’espressione genica, andandosi a legare a specifici mRNA di cui determinano la degradazione.
Gli inibitori dei miRNA sono sequenze nucleotidiche modificate disegnate per legare specifici miRNA, determinandone il blocco.
Nell’ADPKD è stata ritrovata un’espressione elevata di alcuni miRNA, tra cui in particolare del miRNA-17 e del cluster miRNA-17~92 (59). Il loro silenziamento migliora il fenotipo cistico mentre la loro sovraespressione induce la formazione di cisti in alcuni modelli animali e in alcuni modelli umani in vitro di ADPKD (60).
Pertanto, sulla base di queste premesse, è stato condotto un trial clinico di fase 1b (61) in cui è stato impiegato RGLS4326, come inibitore del miRNA-17, in pazienti affetti da ADPKD, al fine di valutarne sicurezza ed efficacia a breve termine, ma i risultati non sono stati ancora pubblicati.
Statine
Anche le statine, inibitori dell’enzima Idrossi-3-metilglutarilCoA (HMG-CoA) hanno mostrato effetti anticistici in modelli sperimentali, probabilmente mediati dall’attivazione di AMPK (62), sebbene una recente metanalisi di trial clinici condotti nell’uomo non abbia evidenziato la loro efficacia nel rallentare la progressione della malattia (63).
Attualmente, inoltre, è in corso un trial clinico che valuterà l’efficacia della pravastatina in pazienti affetti da ADPKD in termini di TKV e di flusso ematico renale (64).
Tiazolidindioni
Sono una classe di farmaci che agiscono stimolando il peroxisome proliferator-activated receptor-γ (PPAR-γ). Questo recettore nucleare forma un eterodimero con il recettore A per l’acido retinoico e controlla la trascrizione di molteplici geni, tra cui quello per il CFTR e per diverse proteine coinvolte in vie della proliferazione cellulare (65).
In passato è stato condotto il trial clinico PIOPKD, uno studio pilota di fase 1b in cui il pioglitazone non è stato in grado di rallentare l’aumento del TKV o il peggioramento progressivo del GFR (66).
Inibitori delle Tirosin Kinasi
Nell’ADPKD vi è un’iper-attivazione della via dell’Epidermal Growth Factor (EGF) mediata da Src. Due molecole appartenenti a questa classe sono state impiegate per il trattamento dell’ADPKD.
Il Tesevatinib consiste in un inibitore multikinasico che riduce la fosforilazione di c-Src, EGFR, Erb2 e pertanto riduce la proliferazione cellulare (67). La sua efficacia è stata valutata in un trial clinico di fase 2 (68), di cui non sono disponibili risultati, ma il suo impiego è comunque gravato da un gran numero di effetti collaterali: allungamento del QT, diarrea, rash aracneiforme.
Il Bosutinib è un inibitore di Src/Bcr-Abl il cui uso è stato approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica con cromosoma filadelfia positivo e dati preclinici suggeriscono la sua efficacia nel migliorare il fenotipo cistico di ADPKD (69). Recentemente, in un trial clinico randomizzato il suo impiego ha permesso una riduzione della velocità di accrescimento delle cisti, anche se non significativa. La terapia, tuttavia, è stata gravata da un alto tasso di abbandono causato dall’elevata incidenza di eventi avversi (diarrea, tossicità epatica) (70).
Curcumina
È un polifenolo naturale con proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antiproliferative (71), in grado di interferire con diverse vie del segnale, tra cui quelle di mTOR, NF-κB, MAPK e Wnt (72). Mentre, in alcuni modelli animali di ADPKD, essa è stata in grado di rallentare la progressione della malattia, un trial clinico randomizzato controllato recentemente condotto in 68 bambini e giovani adulti affetti da ADPKD non ha mostrato alcuna efficacia della curcumina nel rallentare la progressione della patologia né nel migliorare la dilatazione flusso mediata dell’arteria brachiale (73). Probabilmente la ragione di questa inefficacia risiede nella scarsa biodisponibilità orale conseguente all’esteso metabolismo epatico di primo passaggio.
Restrizione calorica
Alterazioni metaboliche sono sempre più evidenti nell’ADPKD; in alcuni modelli murini, la restrizione calorica ha permesso di rallentare la cistogenesi, attraverso l’attivazione di AMPK e la soppressione delle vie di segnale mediate da mTOR/S6 e IGF-1 (74).
Sulla base di queste premesse, verrà condotto un trial clinico randomizzato della durata di un anno che valuterà l’efficacia del deficit calorico e del digiuno intermittente sulla variazione del volume renale in 28 pazienti obesi o in sovrappeso affetti da ADPKD (75).
Farmaci oggetto di studio in fase pre-clinica
Anticorpi contro il fattore di crescita vascolare endoteliale (anti-VEGF)
Nell’ADPKD vi sarebbe un’aumentata espressione di VEGF165 nelle cellule delle cisti e di VEGFR2 nelle cellule endoteliali che conduce a un’accentuata angiogenesi.
In alcuni modelli animali, l’inibizione dell’espressione di mRNA dei recettori VEGFR1 e VEGFR2 è stata in grado di ridurre la proliferazione delle cellule tubulari, la cistogenesi (76), l’aumento del volume dei reni e il declino della funzione renale. Al contrario, in altri modelli, l’impiego di un anticorpo anti VEGF-A ha aumentato la cistogenesi (77).
Attivatori della FosfoDiesterasi E (PDE)
L’ADPKD è caratterizzato da un incremento dei livelli intracellulari di cAMP. Nelle cellule l’omeostasi del cAMP è determinata dal bilancio tra sintesi (mediata dalla AC) e degradazione del cAMP (mediata dalla PDE) (78).
Recentemente, in alcune colture cellulari di ADPKD, si è visto che l’attivazione forzata della PDE4 ha permesso di ridurre notevolmente la formazione di cisti (79,80). Questa scoperta potrebbe aprire la strada all’attivazione farmacologica diretta della PDE4 per il trattamento dell’ADPKD.
2-Deossiglucosio (2-DG)
Nelle cellule di ADPKD vi è un elevato consumo di glucosio, conseguente al tipo di metabolismo di queste cellule, che consiste nella glicolisi anaerobia (o effetto Warburg). Per questo la riduzione della disponibilità di glucosio inibisce fortemente la proliferazione di queste cellule (81).
Il 2-DG consiste in un substrato suicida, in quanto viene avidamente captato dalle cellule di ADPKD ma, una volta entrato nella cellula, non può intraprendere il percorso metabolico della glicolisi. In diversi modelli di ADPKD, questa molecola è stata in grado di inibire fortemente la cistogenesi e quindi l’aumento del volume dei reni e il peggioramento della funzione renale (82,83).
Attivatori del canale TRPV4
Il canale TRPV4 (Transient Receptor Potential Vanilloid 4) è un osmosensore che regola l’ingresso di calcio nella cellula. Esso viene attivato in caso di riduzione dell’osmolarità extracellulare ed è iper-espresso nelle cellule epatiche di ADPKD. In vitro e in alcuni modelli animali, la sua attivazione farmacologica ha permesso di ridurre la proliferazione dei colangiociti e la crescita delle cisti (84).
Calciomimetici
L’attivazione del Calcium-Sensing receptor (CaSR) è associata a un aumento del calcio intracellulare e per questo i calciomimetici, bloccando questo recettore, sono stati proposti come possibile farmaco da impiegare nel trattamento dell’ADPKD, in quanto il loro impiego in modelli murini di ADPKD ha permesso di ridurre la crescita delle cisti e l’aumento del volume renale (85,86).
Inibitori delle Kinasi Ciclina Dipendenti (CDK)
La PC1 è in grado di arrestare la progressione del ciclo cellulare inibendo l’attività della CDK-2 mediata dall’up-regolazione della proteina p21. In alcuni modelli murini di ADPKD, l’impiego di due diversi inibitori delle CDK ha permesso di ridurre la cistogenesi e di migliorare il declino della funzione renale (87).
Menadione
Un’altra proteina coinvolta nella patogenesi e iper-espressa nell’ADPKD è la Cdc25A, responsabile della divisione cellulare. La sua inibizione con la vitamina K3 (menadione), in alcuni modelli animali, ha ridotto la proliferazione cellulare e l’accrescimento delle cisti (88).
Inibitori della via MAPK/ERK (anche nota come Ras-Raf-MEK-ERK)
Nelle cellule di ADPKD, la riduzione dei livelli intracellulari di ADPKD comporta l’iper-attivazione di questa via di kinasi, che conduce all’aumento della proliferazione cellulare. In diversi modelli animali, sono stati impiegati alcuni inibitori della via (il Sorafenib, un inibitore di B-Raf, e PD184352, un inibitore di MAPK/ERK) con risultati incoraggianti (89-92).
Modifiche epigenetiche del DNA
Nell’ADPKD vi è un aumento dell’espressione e dell’attività dell’Istone Deacetilasi 6 (HDAC6) e diversi suoi inibitori, impiegati in vitro e in vivo in alcuni modelli murini, si sono mostrati efficaci nel rallentare la cistogenesi (93-96).
Terapia cellulare
L’infusione endovenosa di cellule mesenchimali allogeniche in un modello murino di ADPKD ha permesso di migliorare l’ipertensione arteriosa e la fibrosi renale, senza tuttavia incidere sulla cistogenesi (97).
Inibitori dell’infiammazione
Nell’ADPKD vi è un’aumentata produzione di molecole pro-infiammatorie e chemochine, tra cui MCP-1 (Monocyte Chemotactic Factor-1), che favorisce la comparsa di un cospicuo infiltrato di monociti e macrofagi nei reni policistici.
Alcuni farmaci in grado di inibire queste chemochine infiammatorie (per esempio, Bindarit, Etanercept, Celecoxib) hanno ridotto, in diversi modelli animali di ADPKD, la cistogenesi e il decadimento della funzione renale (98,99).
Conclusioni
Diversi farmaci sono stati o sono in fase di sviluppo come trattamento specifico dell’ADPKD. Dal momento che l’ADPKD è una malattia complessa con un alto grado di eterogeneità genetica e che i meccanismi coinvolti nella crescita delle cisti hanno anche funzioni importanti in vari processi fisiologici in tutto il corpo, potrebbe essere difficile progettare nuovi interventi in grado di preservare la funzione renale che blocchino efficacemente la crescita delle cisti senza causare gravi effetti avversi.
Pertanto, ancora grandi sforzi devono essere messi in atto al fine di poter individuare un trattamento efficace e con effetti collaterali assenti o accettabili.
Disclosures
Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.
Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.
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