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G Clin Nefrol Dial 2022; 34: 80-86

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2022.2478

REVIEW

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Ruolo dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità nell’assistenza dei pazienti in dialisi domiciliare e possibili effetti sugli outcome assistenziali

1Servizio Professioni Sanitarie, ASL n. 1 di Sassari, Sassari - Italy

2Infermiera Libera Professionista, Olbia - Italy

3Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari, Cardiochirurgia, Sassari - Italy

Role of the Family and Community Nurse in home dialysis patients and possible effects on healthcare outcomes

From the analysis of the national and international literature and considering the socio-demographic changes, it is necessary to rethink the organizational models capable of giving concrete answers to the new health and welfare needs of the population. The progressive increase of the elderly population and of people with at least one chronic disease and the SARS-CoV-2 pandemic have highlighted the need for a health and social system close to the population, which increases the territorial assistance, in particular at the patient’s home. Home care must become an elective place for prevention and health promotion activities. PNRR funds for proximity networks, telemedicine and innovation in the health field will enable assistance to be directed towards a new organizational and operational perspective, where the family and community nurse will play a key role. In the care of patients on home dialysis the evidence described in the literature reports the benefits of home hemodialysis treatment, in which the nurse of the family and community through his care skills, technical and psychological counselling, tele assistance and e-health can be integrated into the home care path, assisting the patient and the family unit and supporting them in the different health needs, especially in the quality of life outcome.

Indirizzo per la corrispondenza:
Francesco Burrai
Servizio Professioni Sanitarie ASL n. 1 di Sassari
Via Tempio 5
07100 Sassari - Italy
francesco.burrai@aslsassari.it

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2022 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0).

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Introduzione

Dalla revisione della letteratura, ricercando informazioni da database e siti nazionali e internazionali istituzionali, e dall’analisi dei documenti specifici prodotti nel nostro Paese, come il Piano Sanitario Nazionale del 2006-2008 (1), la Conferenza Stato Regioni concernente il Patto per la Salute 2019-2021 (2), il Piano Nazionale della Cronicità 2016 (3), il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR) (4), il Position Statement FNOPI 2020 (5) e il programma HEALTH21 2000 (6), e considerati i cambiamenti socio-demografici, è necessario ripensare ai modelli organizzativi capaci di dare risposte coerenti ai nuovi bisogni di salute e di benessere della popolazione.

Il progressivo invecchiamento di questa, l’incremento di persone con almeno una patologia cronica, la progressiva semplificazione della dimensione e della composizione delle famiglie, con un incremento di persone over 65 che vivono da sole e una riduzione del 50% circa degli anni di vita liberi da disabilità nelle persone sopra i 65 anni, con sostanziali differenze sulla base delle condizioni socio-economiche (6), sono peculiarità che richiedono un modello assistenziale sensibile alle necessità del territorio e che si distacchi dal modello ospedale-centrico, focalizzando l’attenzione sul contesto di vita quotidiana della persona.

L’assistenza sanitaria territoriale diventa luogo elettivo per attività di prevenzione e promozione della salute attraverso percorsi di presa in carico della cronicità e della personalizzazione dell’assistenza, in stretta correlazione con il PNRR (4) e il Piano Nazionale della Cronicità (3).

Le proposte del PNRR consentono di sostenere modelli organizzativi capaci di riconvertire l’attuale contesto operativo con programmi di riqualificazione extra-ospedaliera privilegiando l’integrazione territoriale e l’offerta socio-sanitaria e individuando target di popolazione con particolare riferimento alle condizioni di fragilità che necessitano di integrazione territoriale nell’ambito della continuità assistenziale a forte integrazione professionale.

Il paziente nefrologico in dialisi rientra perfettamente in questo contesto sanitario e socio-sanitario, dove l’Infermiere di Famiglia e di Comunità (IF/C) diventerà una figura fondamentale per l’assistenza dei pazienti dializzati ed è per questo che il mondo della nefrologia dovrebbe conoscere questa figura, su cui il nostro Paese sta investendo dal punto di vista normativo e finanziario, anche attraverso i fondi del PNRR.

Infatti, l’IF/C rappresenta un sanitario strategico nelle funzioni di orientamento e potenziamento del Population Health Promotion Model, specificatamente della medicina d’iniziativa e di prossimità nonché per le sue competenze, un agente dell’empowerment delle persone e della comunità.

L’obiettivo di questa revisione è quello di mostrare quali sono le caratteristiche dell’IF/C e come impatteranno progressivamente sul paziente dializzato e con quali strumenti.

L’Infermiere di Famiglia e di Comunità

Era il 2000 quando a livello internazionale l’OMS (7) delineava una nuova figura sanitaria che potesse assistere la famiglia e la comunità direttamente al domicilio con competenze specialistiche nelle cure primarie e di sanità pubblica: nasceva l’IF/C. Questo per definizione “è il professionista in possesso di uno specifico titolo di master universitario di primo livello, competente nella promozione della salute, nella prevenzione e nella gestione partecipativa dei processi di salute individuali, familiari e della comunità” (8).

In Italia, questa nuova figura viene delineata nel maggio del 2020 con il “decreto Rilancio” per supportare le Unità speciali di continuità assistenziale e per potenziare la presa in carico sul territorio dei soggetti infettati da SARS-CoV-2 (9).

L’IF/C è un esperto nella prevenzione e nella promozione della salute e dell’educazione sanitaria e terapeutica e fa emergere le risorse insite nella persona, un’educazione partecipata, attiva. Attua con interventi specifici la riduzione dell’impatto dei determinanti sociali sulla salute del singolo individuo e sostiene il concetto di invecchiamento sano quale “processo di sviluppo e mantenimento delle abilità funzionali che consentono il benessere nell’avanzare dell’età” durante l’intero corso della vita.

Il ruolo di questo professionista della salute è quello di sostenere e accompagnare la persona, la famiglia e la comunità nel processo di coping per affrontare e gestire i problemi e trovare e mettere in pratica strategie efficaci per risolverli.

L’IF/C promuove l’empowerment del singolo e della comunità rendendo le persone competenti. Agisce nei tre livelli di prevenzione: 1) primaria, lavorando sugli stili di vita e sui fattori di rischio; 2) secondaria, educando alla diagnosi precoce; 3) terziaria, contenendo gli esiti della patologia. I luoghi in cui agisce sono: 1) gli ambulatori infermieristici orientati alla personalizzazione delle cure e che rappresentano il perno tra il territorio, l’assistenza a domicilio e il servizio di continuità assistenziale; 2) gli ambulatori infermieristici delle cronicità, con l’adozione dell’approccio metodologico del disease management secondo il paradigma del Chronic Care Model (CCM), dell’Expanded Chronic Care Model (ECCM) e della medicina di prossimità e di iniziativa; 3) le Case della Comunità (4), le quali rappresentano una nuova idea di struttura socio-sanitaria con la funzione di assistenza primaria e preventiva e per la presa in carico di pazienti affetti da patologie croniche; 4) gli ospedali di comunità, strutture con 20 posti letto, che hanno lo scopo principale di evitare ricoveri ospedalieri impropri e di favorire le dimissioni protette.

Il PNRR (4) contribuisce alla realizzazione di questa nuova figura, attraverso una linea di mission presente nella sezione “Missione 6: SALUTE” dove sono contenuti i fondi destinati alle reti di prossimità, alla telemedicina e all’innovazione in campo sanitario. Tra gli obiettivi del piano rientra la promozione dell’assistenza domiciliare con 9.600 Infermieri, 1 ogni 2.500 abitanti.

Il primo esempio storico in Italia di IF/C è quello dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (10) nel 2001, un progetto nato per analizzare gli effetti della ramificazione dei servizi sanitari sul territorio per diminuire gli accessi dei codici bianchi in Pronto Soccorso dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 5 “Bassa Friulana”. Nel triennio 2009-2011 si sono registrati 79.397 accessi a fronte di quelli del triennio 2005-2009 che ammontavano a 97.282, con una riduzione del 18,3%. Visti i risultati, la Regione ha previsto la figura dell’IF/C nel Piano Sanitario e Socio-Sanitario 2006-2008 (DGR 782/2006) (11) e più recentemente nelle Leggi di Riforma Sanitaria FVG n. 27/2018 (12) e n. 22/2019 (13).

La necessità di questa nuova figura nasce dai cambiamenti demografici che il nostro Paese sta attraversando ma anche dal desiderio della sanità di dare segni di rinnovamento alla popolazione. Negli anni la figura dell’Infermiere si è evoluta e lo ha fatto simultaneamente alla comunità che ha percepito come l’IF/C giochi un ruolo strategico. Infatti, la ricerca CENSIS-FNOPI (14) ha mostrato come il 91,4% degli italiani consideri l’IF/C una buona soluzione per assistere persone a livello domiciliare con patologie croniche.

Modelli concettuali di riferimento

L’IF/C può seguire diversi modelli concettuali di riferimento come Linee Guida della sua azione professionale. Il primo è quello proposto dall’OMS (15): il Primary Health Care (PHC). Questo modello mette al centro una sanità progettata con le persone e per le persone, dove la malattia e le istituzioni non sono più il centro concettuale dell’assistenza, in una visione di percorso di interventi che abbracci la vita.

Il PHC comprende tre elementi interconnessi tra loro di cui: 1) i servizi sanitari integrati che uniscono a sé l’assistenza primaria e la salute pubblica; 2) politiche e azioni multisettoriali per affrontare i determinanti della salute; 3) coinvolgimento del singolo, delle famiglie e della comunità per incrementare la cura di sé stessi.

Altro modello è quello del CCM e dell’ECCM, dove non è più il paziente che si reca in ospedale ma è il sistema salute che si rivolge al cittadino attraverso la capillarizzazione dei servizi sanitari tramite anche l’introduzione di figure come l’IF/C. La gestione dei pazienti cronici è un problema sanitario e socio-sanitario che da anni è uno dei punti strategici del management delle organizzazioni sanitarie, perché non solo il numero di questo tipo di popolazione sta progressivamente aumentando, ma perché la loro assistenza richiede personale specificatamente formato, finanziamenti strutturali e un radicale ripensamento dell’organizzazione del sistema sanitario e socio-sanitario. Il CCM e l’ECCM rispecchiano un modello di sanità di iniziativa che può migliorare la presa in carico dei pazienti con patologie croniche, la qualità della vita e la consapevolezza della malattia (3). Non solo, utilizza l’umanizzazione dell’assistenza inglobando la prospettiva definita “patient experience”, sentirsi accompagnato in un processo unico e continuo, con una migliore compliance nell’aderenza terapeutica e concordata con il team assistenziale (16).

Un terzo modello di riferimento è quello di Jean Watson, che ha sviluppato lo Human Caring. La cura umana di cui parla la Watson non è solo intesa come cura della persona, ma evidenzia “i valori e il significato dell’Essere umani e dell’onorare l’unità dell’Essere”. Nel rapporto con la persona assistita nel percorso di cura, l’ambiente non è inteso come ambiente fisico ma è l’Infermiere che diventa ambiente. La relazione Infermiere-paziente è fondamentale affinché l’assistito non perda mai la percezione di essere una persona (17). Per un’efficace integrazione di questo professionista sono importanti tre concetti delineati da Rosenfield nel 1992 (18): 1) la transdisciplinarietà che equivale a lavorare insieme secondo un’unica struttura concettuale che riunisca a sé concetti, teorie e approcci provenienti da più discipline; 2) l’interdisciplinarietà, affrontare un problema comune da prospettive disciplinari individuali; 3) la multidisciplinarietà, lavorare in parallelo da discipline diverse per affrontare problemi comuni. In un’ottica di lavoro in equipe, di condivisione delle informazioni e di comunicazione tra più discipline, l’IF/C si pone come intermediario tra il mondo sanitario e socio-sanitario e la popolazione, con lo scopo di rendere sempre più accessibili e fruibili i servizi.

Core delle competenze dell’IF/C

I setting assistenziali su cui agisce l’IF/C sono svariati e comprendono i vari tipi di famiglia, il gruppo e la comunità. I cambiamenti dello stile di vita, il calo delle nascite e l’aumento del numero di persone con età > 65 anni (19) hanno portato allo sviluppo di nuove definizioni nella sociologia della famiglia, per prime le Nazioni Unite che, nel 1970, diedero una nuova definizione alla “famiglia” così come era conosciuta. Infatti, la definirono come a) famiglia unipersonale, composta da una sola persona che provvede da sé al proprio sostentamento; b) famiglia composta da due o più persone che dimorano abitualmente nella stessa abitazione e legate o meno da vincoli di parentela (20), il gruppo inteso come “due o più individui che si percepiscono come membri della medesima categoria sociale” (21). La comunità invece, è stata definita dall’OMS come “un gruppo specifico di persone, che spesso vivono in un’area geografica definita e che condividono la stessa cultura, gli stessi valori e le stesse norme […]. Esse manifestano, inoltre, una certa consapevolezza della loro identità di gruppo e condividono gli stessi bisogni e il medesimo impegno nel soddisfarli” (22).

È in relazione con queste conformazioni sociali che l’IF/C agisce: 1) a livello individuale e familiare, attraverso interventi diretti e indiretti, dall’elaborazione di piani educativi individualizzati alla supervisione dell’aderenza al piano terapeutico e al monitoraggio, anche tramite colloqui familiari per promuovere strategie efficaci atte a ridurre il carico familiare; 2) a livello di gruppo, attraverso interventi che si rivolgono a gruppi di persone organizzati in funzione di specifici bisogni di salute attivando progetti di formazione sulla salute e sui rischi e al miglioramento degli stili di vita, stimolando il self-care; 3) a livello comunitario attraverso azioni rivolte alle comunità attivando progetti di formazione sulla salute e sui rischi e al miglioramento degli stili di vita, stimolando il self-care (8).

Nell’assistenza del paziente sottoposto a emodialisi domiciliare (HHD), l’IF/C:

  • pianifica e attua il trattamento prescritto dal personale medico e, attraverso le conoscenze acquisite, gestisce le apparecchiature dialitiche e risponde ai bisogni olistici specifici del paziente dializzato;
  • gestisce gli accessi vascolari per il trattamento;
  • valuta costantemente le condizioni del paziente riconoscendo precocemente le problematiche e risolvendole con competenza;
  • pianifica e attua interventi organizzativi volti a soddisfare i bisogni del malato cronico in trattamento HHD (23);
  • valuta le necessità e i bisogni di informazione sanitaria dell’individuo e della sua famiglia in riferimento alla gestione della malattia.

Il suo ruolo si esplica in sinergia con i diversi servizi sanitari e socio-sanitari, attraverso una presa in carico globale interdisciplinare e interprofessionale con prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di diversa complessità e intensità (8).

L’IF/C è un sanitario che utilizza gli strumenti della sanità digitale, dell’e-health, in particolare della telemedicina, della teleassistenza, del teleconsulto e dei podcast per l’educazione terapeutica e delle app per il monitoraggio da remoto. L’IF/C potrebbe, attraverso applicazioni di e-health installate su particolari orologi digitali indossati dal paziente, monitorare diversi parametri fisiologici legati alla dialisi, come la temperatura corporea, la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, la saturazione dell’ossigeno, la pressione arteriosa, la sua attività fisica come numero passi/die e la quantità di calorie consumate, e inviare alert e report. Attraverso la telemedicina e la teleassistenza potrebbe in maniera indiretta monitorare il funzionamento della tecnologia dialitica in collaborazione con il servizio di dialisi e in maniera diretta interagire da remoto via audio e video con il paziente. Attraverso il teleconsulto, l’IF/C in tempo reale interagisce da remoto con il paziente per rispondere alle domande che il paziente pone su diversi aspetti assistenziali della dialisi. Attraverso i podcast, l’IF/C crea contenuti multimediali su diversi aspetti di educazione terapeutica nel campo dell’assistenza dialitica a cui il paziente può accedere da remoto h 24. Attraverso applicazioni installate sullo smartphone, l’IF/C utilizza una piattaforma digitale dedicata in cui sono registrate tutte le informazioni assistenziali del paziente, con possibilità di analisi, report, link con i servizi sanitari e socio-sanitari e contatti con i caregiver e le risorse della comunità.

Implicazioni con la pandemia da SARS-CoV-2

Nel panorama attuale, caratterizzato dalla pandemia da COVID-19, è emersa la necessità di rivedere l’organizzazione della sanità non solo per proteggere la popolazione e ancor di più i soggetti fragili dal contagio, ma anche per garantire cure, terapie, assistenza ed educazione sanitaria nonostante l’emergenza.

Anziani e pazienti affetti da malattie respiratorie, cardiocircolatorie, renali, cerebrovascolari e autoimmuni fanno parte di quella popolazione di pazienti a maggior rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 e di subire gravi complicanze.

I pazienti con insufficienza renale cronica (RRC) in trattamento dialitico sono particolarmente esposti alle malattie respiratorie a causa soprattutto di problematiche inerenti a un sistema immunitario deficitario (24). Recentemente la Società Italiana di Nefrologia ha condotto un sondaggio sui rischi di infezione da SARS-CoV-2 di pazienti con RRC sottoposti a terapia sostitutiva renale (RRT) e ha evidenziato che dal 24 febbraio al 23 aprile 2020 su 60.441 pazienti esposti 1.368 (2,26%) hanno contratto l’infezione da SARS-CoV-2, a differenza della percentuale di infezione della popolazione generale stimata allo 0,4% (25). Lo stesso sondaggio citato pocanzi riporta che sui 1.368 pazienti positivi al SARS-CoV-2 con RRC e sottoposti a RRT, i decessi sono stati 449 (32,83%) con un tasso di mortalità complessiva di 2,5 volte superiore rispetto al tasso stimato nella popolazione generale al 23 aprile.

Un secondo elemento che mette a rischio di infezione da SARS-CoV-2 i pazienti con RRC sottoposti a RRT è la struttura ospedaliera, vale a dire proprio quel luogo che fornisce questo trattamento. Anche la struttura ospedaliera, a causa della presenza di numerosi pazienti nei servizi di dialisi che contemporaneamente sono presenti nelle camere di degenza per essere sottoposti alla dialisi, e la lunga permanenza spesso in camere di degenza con spazio ridotti e con altri pazienti sono condizioni che possono innescare gravi fattori di rischio per contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 (26).

La problematica della dialisi ospedaliera messa in chiara evidenza dalla pandemia ha mostrato tutti i limiti della dialisi effettuata all’interno degli ambienti ospedalieri, e questo ha contribuito a riflettere su soluzioni che possono essere solo di tipo domiciliare.

L’emodialisi domiciliare (HHD) nasce tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento a causa dell’incremento del numero di pazienti da sottoporre a dialisi e della carenza di strutture abbastanza grandi che potessero accoglierli (27). A sessant’anni dallo sviluppo di questo strumento di cura i dati evidenziano una vasta variabilità tra i diversi Paesi nel mondo che va da un ampio utilizzo in Nuova Zelanda e Australia con il 58,4% e il 39% ciascuno a un 4,6% negli USA (28) e in Europa a un < 2% (29).

Si è ripreso a parlare di HHD sulla spinta dei cambiamenti sociali, sanitari e tecnologici. Le nuove esigenze sono quelle di mirare verso l’assistenza territoriale definita di primo livello, per lasciare l’assistenza di secondo e di terzo livello alla gestione e alla cura di pazienti acuti, mutamenti sociali con i pazienti sempre più consapevoli che chiedono di poter mantenere una buona qualità di vita nonostante la malattia e gli operatori sanitari che lavorano di concerto per sviluppare l’empowerment del singolo, della comunità e delle famiglie per trovare le strategie più adatte per fare fronte alla malattia.

I dati riportati da una revisione sistematica del 2015 mostrano che nel 2010 il numero di pazienti in dialisi era di 2.050 milioni, mentre i modelli recenti prevedono che questo numero sarà pari a più del doppio tra il 2010 e il 2030 (30).

Il crescente numero di pazienti sottoposti a dialisi deve far riflettere sulle alternative al trattamento in ospedale e sui benefici dell’HHD analizzando inoltre gli ostacoli e trovando nuove soluzioni, dove l’IF/C appare essere un professionista con tali potenzialità.

IF/C nell’emodialisi domiciliare: facilitatori e barriere

Come già accennato sopra, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha cambiato l’approccio al sistema sanitario così come lo conoscevamo. Il cambiamento principale è stato quello della continuità delle cure assistenziali. Nell’ambito della malattia renale cronica è tornato in auge un trattamento che per lungo tempo era stato poco sviluppato, l’HHD.

La letteratura scientifica si è espressa in molteplici occasioni sul tema. Ha esaminato i benefici e gli ostacoli al trattamento e ha proposto diverse soluzioni.

Gli outcome che sono stati presi in esame hanno riguardato la sfera fisica, psicologica e sociale.

Secondo l’International Quotidian Dialysis Registry, i pazienti sottoposti a emodialisi per un tempo superiore 5,5 ore al giorno hanno una sopravvivenza migliore del 45% rispetto ai pazienti sottoposti a emodialisi in un centro con metodo tradizionale (31).

Pazienti sottoposti a HHD con regimi di emodialisi più frequenti hanno riportato volumi e tassi di ultrafiltrato (UF) inferiori rispetto al trattamento convenzionale. I risultati hanno mostrato un volume medio di UF di 4,1 ± 1,4 L nel gruppo con trattamento tradizionale, contro 1,0 ± 0,7 L per l’HHD. Il tasso medio di UF era 15,4 ± 2,11 mL/kg all’ora per il trattamento convenzionale e 3,39 ± 2,19 mL/kg all’ora per l’HHD. Si sono registrate inoltre una diminuzione della pressione sistolica in pre dialisi nell’HHD con un valore di 123,3 mmHg, mentre quella registrata nel trattamento nel centro dialisi era di 146,2 mmHg, e una riduzione della pressione sistolica nel post dialisi nell’HHD con un valore di 123,2 mmHg, rispetto al valore di 127,7 mmHg registrato nel trattamento nel centro dialisi. I risultati hanno anche mostrato una riduzione dei livelli di proteina C-reattiva rispetto ai pazienti in cui la dialisi veniva effettuata presso il centro dialisi (P = 0,018) (32).

Foley et al. (2011) hanno studiato 32.065 partecipanti all’End-Stage Renal Disease Clinical Performance Measures Project sottoposti a emodialisi tre volte a settimana. I risultati hanno mostrato che i tassi degli eventi gravi sono correlati in maniera direttamente proporzionale con l’aumento degli intervalli di tempo tra i trattamenti dialitici. Specificatamente, gli outcome comparati tra chi veniva trattato nel centro dialitico e chi invece veniva trattato a livello domiciliare hanno mostrato queste evidenze: la mortalità per le cause cardiache, 10,2 contro 7,5 decessi per 100 persone-anno (p < 0,001), la mortalità per infarto del miocardio, 6,3 vs 4,4 (p < 0,001), ictus 4,7 vs 3,1 (p < 0,001) e aritmia 20,9 vs 11,0 (p < 0,001) (33). Questi risultati mostrano come l’HHD sia un trattamento che rispetta maggiormente la fisiologia renale in quanto può essere eseguito quotidianamente e può evitare ampi intervalli temporali interdialitici riducendo conseguentemente anche lo stress cardiovascolare.

Tra gli outcome psicologici e sociali dell’HHD si evidenziano il miglioramento della qualità di vita del paziente e il rafforzamento delle relazioni interpersonali (34). La variabile disoccupazione delle persone in età lavorativa, compresa tra 18 e 64 anni è associata a problemi come ansia, depressione (35) e perdita di autostima (36). Questo fenomeno è correlato ai pazienti in dialisi, infatti un gran numero di pazienti lascia il lavoro o ne riduce l’orario poco prima dell’inizio della dialisi o poco dopo. In uno studio condotto su 359 pazienti sottoposti a dialisi di cui 85 lavoratori e 270 disoccupati, il 69% dei disoccupati ha dichiarato di essere in grado di lavorare e di voler tornare al lavoro (37). Si evidenzia che i centri dialisi che offrono l’HHD mostrano tassi più elevati di pazienti con un’occupazione fissa (OR 1,19, IC 95% 1,11-1,28) (38).

Uno studio qualitativo ha riportato i pareri e le opinioni di pazienti sottoposti all’HHD e dei loro caregiver e/o familiari, dove tra i punti di forza rientrano maggiori autonomia e flessibilità. Infatti, i dati qualitativi indicano che diversi pazienti sarebbero maggiormente orientati a essere trattati in emodialisi domiciliare, come dimostrano queste espressioni eloquenti: 1) “Solo per evitare di dover venire qui (in clinica) e per non avere limiti di tempo. Riflettendo, eseguendo l’emodialisi a casa, potrei gestire il mio tempo come preferisco”; 2) “Sei nel tuo letto, nessun contatto con altre persone; non devi vedere la malattia dell’altro, che ti fa pensare alla tua malattia e la ingigantisce” (39).

Se da una parte abbiamo gli aspetti percepiti positivamente da pazienti, caregiver e/o familiari, dal lato opposto non possiamo trascurare gli ostacoli all’utilizzo del trattamento emodialitico domiciliare che includono la paura del cambiamento, la mancanza della fiducia in sé stessi (40) e la paura del paziente di non ricevere un trattamento come quello garantito a livello ospedaliero (41).

Nello studio di Tong et al. (2013), i risultati qualitativi infatti mostrano fenomeni come l’insicurezza e la paura del caregiver di non essere capace di fare fronte a situazioni di emergenza: “Sono molto preoccupato, ansioso, ho paura di sbagliare, quindi avrei molta paura di sbagliare e di non capire le cose” (39).

Per ovviare a questi problemi i Paesi Bassi hanno aperto la strada all’emodialisi domiciliare assistita da IF/C che si occupano in toto dell’emodialisi, educano il paziente a mitigare il senso di isolamento sociale e la perdita di autostima e aiutano la famiglia e/o il caregiver a gestire le difficoltà date dal loro ruolo (42).

Lo stato di salute dei pazienti sottoposti a dialisi influisce anche su familiari e/o caregiver che sperimentano ansia, depressione, peggioramento della salute, stress emotivo e sentimenti di isolamento (43) e l’IF/C li sostiene e li supporta nel processo.

La paura di essere lasciati da soli nell’emergenza rientra tra le paure e le barriere, ma questo può essere risolto con la telemedicina e la teleassistenza. Durante il lockdown un gruppo di ricercatori americani ha monitorato i pazienti sottoposti a dialisi domiciliare con monitoraggio remoto in tempo reale. Mediante la telemedicina è stato possibile soddisfare le esigenze dei pazienti garantendo la continuità assistenziale e limitando il rischio di esposizione alle infezioni (44).

Ora, con i fondi europei del PNRR, il nostro Paese ha l’opportunità di investire in un modello sanitario indirizzato verso la telemedicina, ma anche verso un’assistenza maggiormente distribuita sul territorio. Tutto ciò è permesso anche dal delinearsi di una figura emergente nel panorama sanitario che è quella dell’IF/C.

Conclusioni

Questo articolo si inserisce sulla linea di un ripensamento, ormai non più procrastinabile, del nostro modo di vedere, organizzare e gestire il sistema sanitario e socio-sanitario, con i profondi mutamenti che saranno necessari per avvicinarsi il più possibile alla vita quotidiana delle persone e al loro luogo di vita. L’evoluzione è già in corso ed è solo stata accelerata dalla pandemia da SARS-CoV-2.

Gli operatori sanitari in questi anni di emergenza si sono fatti carico di sopperire a un sistema sanitario e socio-sanitario impreparato ad affrontare i nuovi bisogni della popolazione posti dalla pandemia. Le nuove evidenze hanno dimostrato come sia giusto che in ospedale entrino solo pazienti acuti, mentre la cronicità deve essere assistita sul territorio e, in particolare, al domicilio del paziente: noi entriamo a casa del cittadino per soddisfare i suoi bisogni di salute, di benessere e di qualità di vita, e non viceversa.

Nel 2016, in Italia inizia a svilupparsi il concetto di cure domiciliare per pazienti cronici sostenuto dal Piano Nazionale Cronicità (3) e successivamente ribadito dalla circolare emanata dal Ministero della Salute il 22 aprile 2022 (45): “Prevenzione COVID-19: implementazione dialisi domiciliare e peritoneale per i pazienti attualmente in emodialisi extracorporea”. Ora la nuova figura dell’IF/C potrebbe diventare una figura sanitaria importante in questo possibile processo di deospedalizzazione dei pazienti cronici, come quelli dialitici, e di riduzione dei loro accessi al Pronto Soccorso o del ricovero per complicanze, grazie alla sua azione di prevenzione, supporto, orientamento, educazione terapeutica, potenziamento del self-care e utilizzo della telemedicina. Nell’ottica di un’assistenza sanitaria che ruota attorno agli utenti, l’IF/C nell’HHD supporta il paziente, la famiglia e/o il caregiver e collabora con gli altri professionisti sanitari coinvolti. Le evidenze descritte in letteratura riportano i benefici del trattamento emodialitico domiciliare, dunque l’IF/C, attraverso le sue competenze assistenziali, tecniche, psicologiche, di counseling, di teleassistenza e di e-health, può integrarsi nel percorso assistenziale domiciliare, assistendo il paziente e il nucleo familiare e supportandoli nei diversi bisogni di salute, soprattutto nell’outcome qualità di vita.

Appare di fondamentale importanza strategica per il nostro SSN accelerare la conoscenza tra i sanitari, i pazienti e i caregiver di questa nuova figura sanitaria e procedere all’organizzazione dei percorsi di implementazione dell’IF/C nei processi assistenziali di emodialisi domiciliare.

Disclosures

Conflict of interest: The authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

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