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G Clin Nefrol Dial 2022; 34: 10-13

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2022.2357

REVIEW

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L’infermiere e la percezione del Moral Distress nella cura del fine vita nel paziente dializzato

1IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano - Italy

2Università Vita-Salute San Raffaele, Milano - Italy

Nurse’s perception of Moral Distress in end of life care in dialysis

The phenomenon of Moral Distress in nursing practice is described as a situation of suffering that arises when the nurse recognizes the ethically appropriate action to be taken and yet institutional impediments make it impossible for him to follow the right course of action. Dialysis patients often have a complex disease trajectory that sometimes involves professional and emotional challenges for staff, especially at the end of life. The objective of this review is to identify which strategies are useful for preserving emotional integrity and awareness in operational settings, for the benefit of both operators and patients.

Keywords: Dialysis, Emotional integrity, End of life, Moral distress

Indirizzo per la corrispondenza:
Elena Brioni
Renal Research Nurse
Nephrology and Dialisys
IRCCS San Raffaele Hospital
20132 Milan - Italy
brioni.elena@hsr.it

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

© 2022 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu

Introduzione

Il fenomeno del Moral Distress nella pratica infermieristica è descritto come una situazione di sofferenza che sorge quando l’infermiere riconosce l’azione eticamente appropriata da adottare e tuttavia impedimenti istituzionali gli rendono impossibile seguire il giusto corso d’azione. I pazienti in dialisi hanno spesso una traiettoria di malattia complessa che a volte comporta sfide professionali ed emotive per il personale, soprattutto nel momento del fine vita. L’obiettivo di questa revisione o è di individuare quali strategie sono utili per preservare l’integrità emotiva e la consapevolezza nei setting operativi, a vantaggio sia degli operatori che dei pazienti.

Discussione

L’ambiente di lavoro sanitario contemporaneo è un ambiente sempre più complesso e in continua evoluzione. Le tendenze odierne si muovono verso una riduzione del personale, un aumento della complessità assistenziale del paziente e l’esigenza di mantenere gli standard di pratica clinica adeguati in un contesto che è sempre più focalizzato sulla riduzione dei costi sanitari. In questo scenario, non sorprende che gli infermieri sperimentino situazioni di stress associato alle decisioni etiche durante la loro pratica quotidiana (1).

L’infermiere è una professione fisicamente ed emotivamente impegnativa, in quanto le aspettative di ruolo appaiono complesse e la criticità di alcune situazioni di lavoro può condurre a un esaurimento emotivo o a malattie legate allo stress (2,3). Malgrado le sfide dell’attuale sistema sanitario, gli infermieri continuano a fornire assistenza di alta qualità ai pazienti, mantenendo un atteggiamento resiliente e con un’ottica di progressione e crescita professionale (4).

Il concetto di disagio morale o Moral Distress (MD) è relativamente nuovo nell’assistenza sanitaria e la letteratura su questo argomento è incrementata rispetto a quando è stato definito per la prima volta da Andrew Jameton nel 1984 (5-7).

A quel tempo, Jameton descriveva il disagio morale come una situazione nella quale un infermiere conosce il diritto di cosa deve fare, ma i vincoli istituzionali rendono quasi impossibile seguire la giusta linea d’azione. Tra i fattori che contribuiscono al disagio morale possiamo includere dilemmi etici, obiettivi di cura non corrispondenti tra i pazienti e le loro famiglie o addirittura la percezione dell’inutilità delle cure (8-11).

Una revisione sistematica della letteratura ha esplorato la relazione tra dilemmi etici e disagio morale, dimostrando come il più alto livello di disagio morale per il personale infermieristico sia associato all’erogazione di trattamenti e di cure intensive da cui i pazienti non trarrebbero alcun beneficio. In queste situazioni, gli infermieri si trovano ad affrontare situazioni in cui ritengono che la morte non sia gestita con sufficiente attenzione, considerando inutile ogni ulteriore trattamento (12).

Il MD è un fenomeno complesso frequentemente sperimentato nei reparti nei quali i conflitti etici sono legati al progresso tecnologico e agli ambienti di lavoro ad alta intensità oppure quando gli operatori sono coinvolti in decisioni che riguardano il fine vita (9,11,13). I reparti con alta incidenza di tale problematica sembrano essere quelli di terapia intensiva (14), neonatologia (15), oncologia (16) e infine anche quelli di nefrologia e dialisi (17,18). In un recente studio del 2020, Ducharlet (19) ha definito i fattori che possono influire sull’insorgenza del MD nell’ambito nefrologico: operare in contesti che impongono vincoli sull’allocazione delle risorse, un processo decisionale terapeutico influenzato da fattori esterni, come per esempio dalle istituzioni o dalle politiche sanitarie, e infine l’impossibilità di ascoltare e a volte assecondare le effettive volontà del malato laddove continuare il trattamento dialitico implica un prolungamento della sofferenza del paziente. Quest’ultimo aspetto è stato sottolineato anche nello studio di Cohen et al. (20), che ha considerato la dialisi come una terapia che prolunga la vita ma che nello stesso tempo prolunga anche la morte. Talvolta, la scelta di una terapia conservativa con l’utilizzo di una terapia di supporto è consigliata, specialmente laddove l’ambiente socio-culturale e i servizi lo permettono. Nei pazienti con un’aspettativa di vita relativamente breve è possibile considerare di iniziare il trattamento dialitico, se non è più sufficiente la terapia conservativa, associandolo alle cure palliative e personalizzando il trattamento in base anche alle preferenze e alla qualità di vita del paziente (21).

I pazienti in dialisi hanno spesso una traiettoria di malattia complessa che a volte comporta sfide professionali ed emotive per il personale, soprattutto nel momento del fine vita (22). A tale proposito è bene ricordare che l’accesso alle cure palliative è raramente integrato nei programmi dei pazienti con insufficienza renale cronica terminale (23), anche se riconosciuto come un diritto umano fondamentale (24). La malattia renale cronica è gravata da sintomi fisici e dovuti anche alle malattie coesistenti o più semplicemente correlate al trattamento dialitico stesso (25-27). Tale situazione porta spesso a compromettere la qualità della vita e a creare una sensazione di incertezza nei confronti della propria esistenza e della propria vita (17). La sospensione del trattamento di emodialisi può essere dovuta al deterioramento cronico della malattia, a crisi cliniche acute e a problemi del trattamento dialitico (20), ma anche ad alcuni aspetti individuali e relazionali della vita del paziente, come diminuzione del benessere, dolore, difficoltà di trattamento oppure il desiderio di non essere un fardello per la famiglia (28).

Nei reparti di emodialisi, gli infermieri sviluppano una stretta relazione con i pazienti poiché forniscono il trattamento dialitico per lunghi periodi di tempo, talvolta per molti anni, e queste relazioni possono ostacolare la capacità di riconoscere e comunicare il deterioramento dei pazienti e la transizione verso la fine della vita (17).

Ducharlet definisce tre livelli utili per affrontare il MD: un micro livello rappresentato dal riconoscimento individuale della presenza dell’angoscia, un livello intermedio che promuove il riconoscimento professionale, l’aspetto empatico e un processo decisionale condiviso e, infine, un macro livello di esclusiva competenza delle istituzioni, che devono essere in grado di offrire risorse e finanziamenti al fine di garantirne l’accessibilità e l’equa distribuzione (19).

A causa della complessità delle traiettorie e delle cure di fine vita dei pazienti in dialisi e della conoscenza limitata dell’impatto di queste sui professionisti sanitari, si rende necessario approfondire la riflessione sul tema. Promuovere un’assistenza centrata sulla persona migliora la comunicazione e di conseguenza gli esiti clinici dei pazienti, ma le relazioni strette che si instaurano nel contesto dialitico tra professionisti e pazienti possono ostacolare la capacità di riconoscere il deterioramento clinico del paziente che conduce al fine vita (29,30). L’aspetto empatico della comunicazione può essere incoraggiato attraverso la continuità delle cure, ma è possibile che si sviluppino “bias di vicinanza-comunicazione”, rendendo, come descritto dallo psicologo statunitense Savitsky (31), l’approccio comunicativo ancora più difficile. In questo caso, riconoscere la dualità della relazione con il paziente nel dare e nel prendere l’uno dall’altro è un importante elemento di guarigione e crescita. Inoltre, il peggioramento dello stato clinico della malattia, l’accentuarsi della sintomatologia e la progressiva fragilità del malato hanno come conseguenza una difficoltà nell’agire in accordo con ciò che i professionisti della cura ritengono eticamente corretto o giusto (32).

È la percezione della discrepanza tra la “cosa giusta da fare” e ciò che sta effettivamente accadendo, talvolta perpetuata dall’intuizione di vincoli esterni al soggetto che limitano l’individuo dal comunicare o dal mettere in atto il cambiamento (33).

Una strategia per contrastare il MD è lo sviluppo e l’implementazione di tecniche di auto-cura che includano il mantenimento e l’aggiornamento delle conoscenze e delle competenze professionali non solo per fornire un’assistenza sicura al paziente ma per poter partecipare all’intero processo di cura in modo consapevole ed efficace. Si tratta di intervenire a livello cognitivo sul significato delle nostre esperienze cogliendo vantaggi dagli aspetti positivi e riducendo quelli negativi, intervenendo in questo modo direttamente sugli eventi stressanti riducendoli e interpretandoli in modo differente (34).

Interventi di supporto per ridurre il MD posso essere educazione, etica e debriefing, tutor tra pari, pratiche riflessive informali con i familiari e sostegno di amici e colleghi (15,35). Il modo in cui gli infermieri comunicano fra di loro durante tutto il percorso di cura e la partecipazione del paziente e della famiglia possono essere strategie concrete per arginare il Moral Distress al di fuori delle realtà operative (34).

Conclusioni

I reparti di dialisi non sono dei luoghi di calma e riflessione, ma luoghi dedicati all’azione. I curanti si confrontano continuamente con la cronicità della malattia, la gestione e l’impiego di tecniche invasive, il controllo del dolore e l’incertezza della sopravvivenza del paziente. Infatti, il focus sull’elevato tecnicismo dei trattamenti contro il continuo sostegno della sopravvivenza in questo contesto può anche complicare e ritardare le discussioni sul fine vita e i professionisti coinvolti sono sempre più assorbiti in queste situazioni (26,36). La vita in dialisi per gli operatori non è fatta di solitudine, bensì di spirito di gruppo; la coesione del gruppo è sicuramente una risorsa molto importante nelle situazioni più complesse poiché ogni curante è consapevole dell’importanza di saper riconoscere i propri limiti e di ricorrere all’aiuto dell’altro, al confronto delle opinioni e alla discussione costruttiva dei punti critici e degli errori (37).

Occorre quindi intervenire per affrontare il disagio morale in questo ambito con lo scopo di raggiungere diversi obiettivi. In primo luogo, dare un nome a un fenomeno che, fino a poco tempo fa, era un pericolo non riconosciuto nella scena sanitaria e, in secondo luogo, anche se il disagio morale non può essere completamente rimosso, è necessario ridurlo, offrendo a coloro che perdono la fiducia la possibilità di esprimere la propria opinione e, di conseguenza, di essere ascoltati. Infine, per affrontare il crescente esodo degli infermieri dalla professione dovuto anche al MD, è necessario preservare la sensibilità morale, l’integrità emotiva e la consapevolezza dei setting operativi, a vantaggio sia degli operatori che dei pazienti.

Disclosures

Conflict of interest: The authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Authors contribution: All authors contributed equally to this manuscript.

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