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G Clin Nefrol Dial 2021; 33: 125-127

ISSN 2705-0076 | DOI: 10.33393/gcnd.2021.2330

EDITORIALE

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Obblighi, incentivi, motivazioni: strategie per indurre a vaccinarsi

Direttore Istituto Giano per le Medical Humanities, Roma - Italy

Indirizzo per la corrispondenza:
Sandro Spinsanti
Istituto Giano
Via Stazzo Quadro 7
00060 Riano (RM) - Italy
sandro.spinsanti@gmail.com

Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi - ISSN 2705-0076 - www.aboutscience.eu/gcnd

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All’inizio poteva sembrare una curiosità di natura folkloristica. Si parlava di un’iniziativa presa dal governo in Serbia: avendo registrato una caduta numerica tra i richiedenti la vaccinazione, per rilanciare la campagna vaccinale è stato promesso un compenso economico, per la precisione l’equivalente di 25 euro, a chi si lasciava vaccinare. Non si pensava che l’esempio potesse essere imitato da altri Stati. Quando, verso la fine dello scorso mese di luglio, si è diffusa la notizia che negli Stati Uniti il Presidente Biden proponeva 100 dollari per incentivare i suoi cittadini a fare questo passo, si è concentrata l’attenzione sulle diverse strategie utilizzate per promuovere le vaccinazioni anticovid. Le informazioni giornalistiche hanno portato a conoscenza delle più diverse misure riconducibili allo stesso scopo: dai semplici gesti di gentilezza, come birre, popcorn e cioccolatini distribuiti sul luogo della vaccinazione, a premi sostanziosi, come lotterie e macchine in palio. Le strategie per vincere l’esitazione vaccinale hanno dato prova di molta fantasia: due scatole di uova fresche offerte in Cina e borse di studio negli Stati Uniti. L’incentivo economico per accrescere le vaccinazioni è apparso, in ogni caso, un salto di qualità che merita un’attenzione particolare, perché acquista il valore di una misura di sanità pubblica.

Il primo interrogativo che si impone è quello dell’efficacia di un intervento economico premiante: riuscirà a demolire le resistenze di coloro che esitano? Gli esitanti sono una delle tre maxi categorie in cui siamo soliti suddividere i cittadini: provax, novax ed esitanti (colloquialmente denominati i “boh”). Impresa impervia appare il superamento del rifiuto sistematico da parte di coloro che vedono nell’invito a farsi vaccinare una congiura ai loro danni, mentre le strategie promozionali di natura economica sembrano promettenti per gli esitanti. Oltre alla questione dell’efficacia dell’incentivazione economica per favorire la vaccinazioni, sorgono anche i dubbi sollevati in nome dell’etica. Gli incentivi economici non minacciano certo la libertà dei vaccinandi, né ledono il principio dell’autodeterminazione: il pagamento non si presenta come coercitivo. Le perplessità riguardano il principio dell’equità. Una sanità pubblica ideale dovrebbe astenersi dal discriminare usando la leva del bisogno economico. I benestanti non si sentiranno forzati dagli incentivi economici, mentre, sui segmenti svantaggiati della società, sarà esercitata una pressione indebita. Gli incentivi assumono, così, l’aspetto di un subdolo sfruttamento della condizione di svantaggio sociale.

Naturalmente, questa presa di posizione non si estende indistintamente a tutte le erogazioni di denaro agli strati più poveri, in senso culturale ed economico, della popolazione, al fine di attivare l’“engagement” nelle prestazioni sanitarie. Esemplare, in questo senso, il progetto “Bolsa Familia” avviato in Brasile. Il programma governativo prevede l’erogazione di somme di denaro alle famiglie più povere, a patto che queste accettino di accedere regolarmente a servizi sanitari e scolastici. Il termine tecnico con cui vengono designati programmi di questo genere è conditional cash transfer. In soli 5 anni, dal 2004 al 2009, in Brasile è stata ridotta del 20% la mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni.1 Misure di questo genere possono lodevolmente comprendere anche incentivazioni economiche alle vaccinazioni, con il denaro in funzione di traino per cultura e consapevolezza.

Ma, forse, la prospettiva più feconda con cui valutare questo tipo di incentivazioni è quella culturale, costituita dal bene simbolico della fiducia. Non deve sembrare esagerato affermare che la buona medicina è un tavolo tenuto in piedi da tre gambe: pillole (per intendere l’intero arsenale terapeutico), parole e fiducia. Se una di queste tre risorse viene a mancare, l’insieme crolla. Ora, è soprattutto la perdita della fiducia che funesta, ai nostri giorni, il complesso sistema delle cure. Incentivare il sottoporsi alla vaccinazione con premi economici non può che far sorgere nugoli di cattivi pensieri riguardo all’efficacia delle vaccinazioni stesse, ai rischi potenziali e agli effetti collaterali, erodendo l’attendibilità delle politiche sanitarie rivolte alla salute della comunità e sollevando il sospetto di un non detto che si cerca di mascherare con il denaro. La comunità degli esitanti potrebbe sentirsi rafforzata nella propria mancanza di fiducia.

Idealmente, dovrebbe essere proprio l’orientamento al bene comune la motivazione che induce a estendere il più possibile la copertura vaccinale. Non si tratta solo di proteggere se stessi e la propria salute, ma di estendere la protezione ai più fragili, mediante una vaccinazione estesa. Per raggiungere questo obiettivo è pienamente giustificato il ricorso a misure che, in alternativa all’obbligo per legge, incrementino le vaccinazioni. Ha, qui, diritto di cittadinanza la “moral suasion”, che usa argomenti attrattivi, piuttosto che quelli costrittivi.

Per quanto riguarda le vaccinazioni, la scelta governativa è stata quella di non introdurre l’obbligo per la popolazione in generale, ma di puntare sulla “moral suasion”. Le più alte autorità, dal Capo dello Stato al Primo Ministro, hanno pubblicamente perorato l’obbligo morale di vaccinarsi, per il bene comune. “Vaccinarsi è una scelta di responsabilità, un dovere”, ha proclamato il Presidente Mattarella. Calde raccomandazioni, senza, tuttavia, fare ricorso alla mano pesante di una vaccinazione generale per legge.

Questa è stata anche l’indicazione proveniente dal Comitato Nazionale per la Bioetica, in un parere relativo alla vaccinazione formulato nel novembre 2020, quando già era evidente la seconda ondata pandemica:

“Sia rispettato il principio che nessuno debba subire un trattamento sanitario contro la sua volontà preferendo l’adesione spontanea all’imposizione autoritativa, laddove il diffondersi del senso di responsabilità individuale e le condizioni complessive della diffusione della pandemia lo consentano. (…)

Nell’eventualità che perdurino la gravità della situazione sanitaria e le limitazioni alle attività sociali ed economiche, insostenibili a lungo termine, non deve essere esclusa l’obbligatorietà dei vaccini, soprattutto per gruppi professionali che sono a rischio di infezione e trasmissione del virus”.

Quest’ultimo riferimento rimanda esplicitamente ai professionisti delle cure sanitarie. Nel loro caso, le inflessibili ondate della pandemia, con momenti di requie solo transitori, hanno obbligato a fare ricorso all’obbligo della vaccinazione. Il diritto a non essere obbligati a determinati trattamenti sanitari richiede un bilanciamento con l’analogo diritto delle persone in cura a non subire il contagio. L’aspirazione libertaria (“La salute è mia e non mi fido dei vaccini”) ha dovuto cedere alle esigenze della sanità pubblica. L’ideale dei cittadini resta quello di evitare l’estremizzazione dei conflitti, che, in questo scenario, potrebbe prendere l’aspetto di una lotta del bene contro il male (naturalmente ognuna delle due parti attribuirebbe il ruolo negativo a quella contraria).

Anche quando prevale l’opzione dell’obbligo, come i decreti governativi hanno successivamente stabilito per gli operatori sanitari e per i professionisti che lavorano nella scuola, l’auspicio è quello di evitare posizioni rigide, di carattere punitivo, e di privilegiare la comunicazione, anche in regime di obbligo. Esemplare, in questo senso, è il più recente parere del Comitato Nazionale per la Bioetica: Vaccini e adolescenti (30 luglio 2021). Quando i “grandi minori” (12-18 anni) hanno posizioni divergenti da quelle dei genitori riguardo alla vaccinazione, piuttosto che ricorrere all’obbligo, l’opzione è quella di cercare di raggiungere un consenso all’inoculazione in modo dialogico. Nei casi più conflittuali, il CNB ritiene opportuno l’eventuale intervento del comitato etico dell’ospedale.

Dal punto di vista culturale, è importante considerare che l’esitanza non è una sola: ci sono molti profili di persone esitanti. Sono molto istruttive, in questo senso, le narrazioni positive dell’esperienza di vaccinazione e le testimonianze, ampiamente diffuse dai giornali, di accoglienza calorosa e di efficienza da parte del personale vaccinante. Anche strategie dialogiche tra operatori sanitari e cittadini possono favorire l’incremento della fiducia. Immaginiamo il ruolo positivo che può avere, in tal senso, il badge “Io mi sono vaccinato/a” indossato da medici e infermieri. Vanno nella direzione di un invito suasivo anche le iniziative che mirano a creare un ambiente gradevole sul luogo stesso delle vaccinazioni. In Trentino-Alto Adige sono state predisposte, a tal fine, delle serate a misura di giovani: Open vax Day & Night, con centri vaccinali modello discoteca, per invitare i giovani a vaccinarsi a ritmo di musica.

Un’altra strategia allineata con l’incentivazione si presenta anch’essa con un termine inglese: il “nudging”, efficacemente tradotto in italiano con “spinta gentile”. Punto di riferimento obbligato è il libro di Thaler e Sunstein: Nudge. La “spinta gentile” presenta programmaticamente “la nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute e felicità” (2). Richard Thaler è stato insignito nel 2017 del premio Nobel per l’economia per il suo contributo all’economia comportamentale. Lo specifico della “spinta gentile” è di rendere facili le migliori decisioni, non obbligandole, in modo illiberale, ma creando percorsi che, senza togliere la libertà, le rendono più agevoli e preferenziali. Riguardo alle vaccinazioni, al posto delle “spinte gentili” i cittadini hanno incontrato, piuttosto, percorsi a ostacoli: pensiamo alla comunicazione confusa e contraddittoria, alla difficoltà nelle prenotazioni, a luoghi scomodi di somministrazione. Immaginiamo, invece, quale “spinta gentile” potrebbe essere costituita dall’investire risorse nel prelevare a domicilio persone con mobilità problematica o con particolari fragilità o predisporre equipe che portino la vaccinazione a domicilio. Il denaro investito nella vaccinazione potrebbe essere speso in modo migliore. A parità di budget, questo tipo di investimento nella logistica porterebbe maggiori benefici rispetto ai compensi economici ai vaccinati, dissipando, al tempo stesso, i sospetti e rafforzando la fiducia nel servizio sanitario pubblico.

Lasciando fuori il ricorso al denaro, un ruolo di primo piano tra le “spinte gentili” che possono indurre gli esitanti, e, magari, anche qualche novax, a vaccinarsi va attribuito al “green pass”. La prospettiva di avere una vita semplificata dal certificato vaccinale o, inversamente, soffocata dalle limitazioni legate alla sua assenza può essere estremamente motivante per decidersi a optare per la vaccinazione. Si muove decisamente sotto l’egida della più seducente “spinta gentile” l’accordo raggiunto tra Parlamento Europeo, Commissione e Consiglio UE per la creazione di un “green pass” tra tutti i Paesi dell’Unione: l’“EU Digital Covid Certificate”. Il certificato, in formato digitale o cartaceo, è rilasciato a chi ha fatto un tampone molecolare o antigenico, a chi è guarito dal Covid e a chi ha completato l’intero ciclo vaccinale con un farmaco approvato dall’Ema. Il certificato permette di spostarsi liberamente tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, senza dover fare la quarantena e subire altre restrizioni. Viaggi e vacanze assicurate. L’adozione di questa misura da parte del governo per gli spostamenti interni ha incentivato molti e prenotarsi immediatamente per la vaccinazione.

Tra tutte le misure pensabili per promuovere una vaccinazione diffusa possiamo immaginare, al polo opposto dell’incentivazione economica da cui ha preso le mosse la nostra riflessione, un diverso rapporto dialogico tra cittadini che non condividono gli stessi orientamenti e convinzioni. Non sarebbe preferibile parlarsi, invece di partire in guerra gli uni contro gli altri? Il buon senso dice di sì, la pratica sociale preferisce lo scontro, che presuppone aver prima scarnificato un problema complesso, riducendolo a due posizioni contrapposte, e, poi, partire all’attacco di quella contraria. Questa collaudata strategia ha trovato di recente il suo terreno di elezione nel dibattito sui vaccini anticovid. Sei favorevole o contrario? Ed ecco i due schieramenti pronti allo scontro, ognuno con i propri motivi e le proprie argomentazioni, da usare per squalificare l’avversario. Il quale non viene neppure ascoltato (basta pensare ai talk-show televisivi), perché, intanto, quello che ha da dire è irrilevante.

Una proposta inaudita per chi ama questo tipo di battaglie è quella che viene dalla Fondazione ISTUD. L’ha avanzata Maria Giulia Marini, un’appassionata promotrice della Medicina Narrativa. Si tratta di una ricerca basata sulle narrazioni riferite alla vaccinazione per il Covid-19, dando voce a chi l’abbraccia, a chi ne rifugge e a chi è indeciso. Un ascolto non giudicante, destinato a raccogliere le motivazioni, le emozioni, le scelte di tutti e tre i sottogruppi: i provax, i novax e gli esitanti. L’obiettivo è di andare al di là delle polarizzazioni. Da queste narrazioni ci si ripropone di raccogliere elementi per proporre campagne vaccinali più appropriate, che tengano conto dei vissuti che le persone mettono in relazione con la cura.

Oltre all’iniziativa in sé, merita una considerazione il presupposto implicito: che la medicina possa essere considerata un luogo di “conversazione”. Il termine può risultare sorprendente. In genere, parliamo di conversazione riferendoci a uno scambio di opinioni senza impegno: due chiacchiere intorno a una bottiglia di vino o a una tazza di tè. La conversazione può essere molto più di questo: un vero e proprio atto di civiltà. Presuppone la disposizione ad avventurarsi fuori dalla propria bolla, dove riceviamo solo le informazioni in sintonia con le nostre convinzioni e che ce le confermano. Prevede la disponibilità a uscire dal proprio IO e a incontrare il TU: prendendolo sul serio, ascoltandolo, lasciandosi provocare da un altro punto di vista. Un percorso difficile, ma che può condurre a un NOI inusuale: inclusivo e non escludente.

La proposta di optare per una civiltà della conversazione è antitetica allo stato d’animo dichiarato da molte persone, ormai rassegnate all’incomunicabilità su temi come la vaccinazione anticovid. Molti dichiarano di aver escluso dalla propria cerchia di amici persone con le quali non riescono più a intendersi. La questione vaccino divide famiglie e spacca amicizie. In un periodo pandemico, dentro un contesto conflittuale, si parla di tutto per non parlare del virus e del vaccino, perché, si sa, si finisce per litigare. Un compromesso è impossibile: non si può essere provax o novax a metà. “Schlafschafe”, pecore dormienti: così, in tedesco, vengono chiamati dai novax coloro che sono a favore del vaccino, accusati di dormire in piedi e di seguire come pecore quello che gli altri considerano l’opinione mainstream sbagliata e manovrata da forze oscure.

Il secondo programma della televisione tedesca ha creato una miniserie di sei puntate su questo tema, appunto con questo titolo: “Schlafschafe”. Una piccola famiglia con un figlio di otto anni, apparentemente felice, sconvolta fino alle fondamenta della convivenza stessa dalla pandemia. La madre, casalinga per scelta per dedicarsi al figlio, frequenta i social e i vari siti che si occupano della “verità”. È convinta che la mascherina faccia male al figlio e ai suoi piccoli polmoni a tal punto che non lo manda più a scuola con scuse varie, finché il padre lo scopre. Poi, la madre cerca il “compromesso”, bucando la mascherina del figlio. Ha paura; anche quando il marito scopre la fonte del sito che diffonde delle notizie assurde, lei non gli crede. Lui si vaccina di nascosto perché lavora per un ospedale, lei lo scopre e, a questo punto, lascia la famiglia. La convivenza è diventata impossibile. Una situazione estrema, ma molto credibile.

La dialettica della conversazione si definisce proprio come contrasto a questo scenario di incomunicabilità crescente. Non è pensabile risvegliare quella “civiltà della conversazione” che Benedetta Craveri ha ricostruito sulle tracce della società francese del XVII secolo (3). Dobbiamo inventarne un’altra. Ci rivolgiamo per questo con fiducia alla Medicina Narrativa, perché nessun tema è più appropriato della salute per cambiare i nostri comportamenti. Sotto la sua guida possiamo scoprire che le alternative ai conflitti sistematici esistono. E sono molto promettenti per la nostra con-vivenza.

Disclosures

Conflict of interest: The authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Bibliografia

  • 1. Enrico Tagliaferri: “Bolsa Familia: come il Brasile ha ridotto la mortalità infantile”, Salute Internazionale (17 luglio 2013) Online (Accessed July 2021).
  • 2. Richard H. Thaler, Cass R. Sunstein: Nudge. La spinta gentile. Milano, Feltrinelli; 2009.
  • 3. Benedetta Craveri: La civiltà della conversazione. Milano, Adelphi; 2001.