G Clin Nefrol Dial 2020; 32: 154-160 DOI: 10.33393/gcnd.2020.2206 SHORT COMMUNICATION |
Affrontare il cambiamento climatico è una ‘missione possibile’
Addressing climate change is a ‘possible mission’
Climate change is real, and we, humans, are responsible for it. Its impact is already evident, both on the Earth system (global warming, sea-level rise, sea-ice melting, more intense and frequent extreme weather events such as heat waves and fires) and on people (famines, health issues, migrations, political tensions and conflicts). We need immediate and concrete mitigation actions aiming to reduce greenhouse gases emissions, and adaptation actions to be able to cope with the increasing changing climate. We have to reach zero-net greenhouse gases emissions as soon as possible, by reducing emissions by at least 5% a year, starting from now. Otherwise the climate change impact will become more and more severe: it will induce more injustice, and it will have a major impact on people health. We have the resources and the technologies to deal with it: we must have the courage to change and transform and deal with it. Addressing climate change is not impossible: to the contrary, it is a ‘possible mission’.
Keywords: Climate change, Global warming, Greenhouse gases emissions, Health
Received: November 9, 2020
Accepted: November 14, 2020
Published online: December 7, 2020
© 2020 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Any commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu
Il cambiamento climatico è reale
Il cambiamento climatico è reale e ha già un impatto sostanziale sulla vita di molti. Le osservazioni confermano che il cambiamento osservato negli ultimi 100 anni ha caratteristiche uniche e va oltre la variabilità naturale del sistema Terra (1). Il settembre del 2020 è stato il settembre più caldo dal 1981, sia a livello globale che per l’Europa (2). Per l’Europa, anche l’ottobre del 2020 è stato l’ottobre più caldo dal 1981 (terzo ottobre più caldo a livello globale). La temperatura media globale degli ultimi 12 mesi (dal 1o novembre 2019 al 31 ottobre 2020) è stata circa 1,3 gradi più alta del livello pre-industriale e continua a salire di circa 0,2 gradi ogni dieci anni. Entro il 2030-2035 ci si aspetta di raggiungere 1,5 gradi di riscaldamento medio superficiale, il valore massimo di riscaldamento che i politici a Parigi, nel 2015 (3), avevano promesso di non voler superare. Eventi estremi come ondate di calore, periodi di siccità o alluvioni sono sempre più intensi e frequenti e l’Europa è una delle regioni più sensibili al cambiamento climatico (4). Cambiamenti nei regimi delle piogge rendono certe regioni molto più secche e aride e, quindi, soggette a siccità e carestie, mentre altre regioni si trovano a dover affrontare piogge sempre più intense e, quindi, alluvioni, frane e distruzione.
La Figura 1 ci mostra la mappa dell’anomalia di temperatura del settembre 2020, rispetto alla media 1981-2010 (per ogni mese, l’anomalia è la differenza tra la temperatura del mese e la media degli stessi 30 mesi del periodo 1981-2010). Per ogni area, possiamo vedere di quanti gradi la temperatura media quest’ultimo settembre ha superato la media calcolata considerando tutti i mesi di settembre tra il 1981 e il 2010. Notate come quasi tutte le terre emerse abbiano valori positivi, indice del fatto che il riscaldamento è un fenomeno globale, e che certe regioni si scaldano molto di più di altre. Tra queste si segnalano i poli e la regione del Mediterraneo, dove è situata l’Italia.
La Figura 2 ci mostra l’evoluzione dell’anomalia di temperatura superficiale dal 1980 a oggi. È interessante confrontare il riscaldamento globale (il pannello superiore della Figura 2) con l’obiettivo che si era posta la 21a Conferenza delle Parti (COP21) a Parigi nel 2015. COP21 si era conclusa con la dichiarazione degli stati partecipanti di mettere in atto azioni per evitare che il riscaldamento medio globale superasse 1,5 gradi rispetto al valore pre-industriale. Una dichiarazione sottoscritta da 188 paesi, responsabili di circa il 97% delle emissioni di gas serra. La Figura 2 ci mostra che, rispetto al valore medio tra il 1981 e il 2010, l’anomalia di temperatura media globale degli ultimi 12 mesi è stata circa 0,65 gradi più alta. Se teniamo conto del fatto che la temperatura media 1981-2010 è 0,63 gradi più calda del valore medio pre-industriale, le osservazioni ci dicono che la temperatura media globale è circa 1,3 gradi più alta dell’era pre-industriale. Sostanzialmente, siamo solo a 0,2 gradi dal limite concordato dai 188 paesi, in quella che era stata considerata come una delle riunioni COP più positive da sempre.
Purtroppo gli anni dal 2015 a oggi, invece di essere caratterizzati da una riduzione delle emissioni, hanno visto le emissioni crescere ancora più velocemente che negli anni precedenti. Il risultato è che ci stiamo avvicinando sempre più rapidamente a quel limite. Le osservazioni ci mostrano che il valore medio globale sale di circa 0,2 gradi ogni 10 anni: quindi, dobbiamo aspettarci di superare l’obiettivo della COP21 ai primi anni della prossima decade e di raggiungere un riscaldamento medio di circa 2 gradi verso il 2055, a meno che non vengano implementate misure sostanziali efficaci nei prossimi anni.
L’evidenza del cambiamento climatico viene anche da altre variabili
Vorrei sottolineare che, anche se le variazioni della temperatura superficiale sono il segno più evidente del cambiamento climatico, altre variabili e/o fenomeni confermano la sua realtà. Per esempio, i ghiacci dell’Artico continuano a sciogliersi (5). Settembre 2020 (Fig. 3) ha visto una riduzione dell’estensione del ghiaccio artico di circa il 40% (rispetto al valore medio 1981-2010) molto vicina a quella del minimo valore osservato nel 2012. Nell’ottobre del 2020, l’estensione dei ghiacci dell’Artico ha raggiunto il valore minimo di tutti i mesi di ottobre dal 1981. Sempre nel 2020, si sono osservati livelli di scioglimento dei ghiacci della Groenlandia mai osservati precedentemente. I ghiacciai alpini continuano a ritirarsi.
Il continuo innalzamento del livello del mare fornisce un’altra conferma del cambiamento in atto. Anche per questa variabile le osservazioni mostrano un’accelerazione dell’innalzamento del livello, che è quasi raddoppiato rispetto ai valori di 20 anni fa. Oggi, il livello sale di circa 4 cm ogni dieci anni: sembra un valore piccolo, ma ha un impatto sostanziale sulle comunità che vivono lungo le coste. Basti pensare a un esempio molto vicino a noi, a Venezia: sia la frequenza che l’intensità dei fenomeni di “acqua alta” e “acqua granda” continuano ad aumentare.
L’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi sono un’ulteriore evidenza del cambiamento climatico. Un’atmosfera in media più calda è un’atmosfera più energetica, dove fenomeni (come tempeste di vento o uragani) si possono intensificare di più che un tempo. Un’atmosfera più calda è, inoltre, in grado di trasportare quantità maggiori di vapore acqueo, con la conseguenza che, quando si innescano situazioni di condensazione e precipitazione, una maggiore quantità di pioggia può cadere al suolo e causare danni maggiori. Temperature medie più alte favoriscono situazioni di caldo estremo d’estate, con ondate di calore più intense e frequenti. In sostanza, il sistema Terra di oggi è caratterizzato da situazioni estreme (sia ondate di calore che portano a siccità che fenomeni di pioggia sempre più intensi che generano alluvioni e distruzioni) sempre più frequenti e intense.
L’uomo è la causa principale del cambiamento climatico
L’uomo è la causa principale dei cambiamenti climatici (1,6): in breve, diciamo che i processi di combustione (utilizzati per produrre energia e riscaldamento e per il trasporto) e gli allevamenti di bestiame sono i maggiori produttori di gas serra (l’anidride carbonica CO2 e il metano CH4). La Figura 4 ci ricorda come la concentrazione di CO2 continui ad aumentare (7). La curva rossa mostra l’andamento della concentrazione mensile, con picchi quando l’assorbimento dei gas serra da parte della vegetazione è minore (inverno boreale) e minimi relativi quando è maggiore. Segnalo che la curva continua a crescere anche nel 2020, nonostante i periodi di lockdown globali.
La scienza ci aiuta a comprendere come e perché il clima stia cambiando e ci fornisce evidenze che le emissioni di gas serra legate alle attività umane sono la causa principale del cambiamento climatico. C’è accordo tra la grande maggioranza (direi il 99%) degli scienziati esperti di fisica/chimica del sistema Terra che le variazioni naturali del clima possono spiegare al massimo il ~30% del riscaldamento osservato. Sia esperimenti numerici effettuati con modelli molto sofisticati del sistema Terra (i più accurati che abbiamo a disposizione oggi) che calcoli teorici che tengono conto delle variazioni delle forzanti confermano che il ~70% è legato alle emissioni di gas serra che si sono accumulate nell’atmosfera dall’era pre-industriale a oggi.
Le nazioni più ricche e industrializzate, tra cui l’Italia, che hanno beneficiato maggiormente dello sviluppo economico dell’ultimo secolo, sono le responsabili principali della continua crescita delle emissioni dei gas serra. L’evidenza viene dal confronto delle emissioni ‘per capita’ (cioe’ per persona) di gas serra, accumulate negli ultimi 25 anni. Tali dati (per esempio, da World Bank Climate Change Data Portal) mostrano, per esempio, che le emissioni accumulate per persona dei cittadini di Europa, USA, Canada, Russia e Australia sono almeno 10 volte di più delle emissioni per persona dei cittadini di India, Africa o Sud America. Possiamo trarre conclusioni simili se accumuliamo le emissioni emesse dall’inizio dell’era industriale a oggi: l’USA è responsabile del 25%, l’Europa del 22%, la Cina del 12%, il Giappone del 4%, l’India del 3% e, a diminuire, si trovano gli altri paesi. Ogni cittadino italiano, in media, ha contribuito quanto un cittadino europeo. Siamo ugualmente responsabili. Vorrei sottolineare come sia importante e, fondamentalmente, più “giusto” parlare di emissioni medie per persona e non accumulate a livello di nazione, perché tale misura è legata al diritto di ogni essere umano di avere accesso a un’energia sufficiente per vivere e svilupparsi.
Quest’anno, si è parlato tanto dell’effetto di COVID-19 sulle emissioni di inquinanti e gas serra, ma, malgrado tale effetto, le emissioni hanno continuato a crescere. Ci si aspetta che, entro la fine dell’anno, cresceranno circa del 4% meno che nel 2019 (8), ma cresceranno comunque. Negli ultimi 20 anni, ogni anno in media abbiamo assistito al continuo aumento delle emissioni di gas serra tra 25 e 45 miliardi (circa 43 miliardi nel 2019) di tonnellate. Nel 2020 ci si aspetta una riduzione delle emissioni annuali rispetto agli anni passati, ma milioni di tonnellate di CO2 verranno comunque aggiunte alla quantità già presente. Oggi, in atmosfera, la concentrazione di CO2 ha superato 410 ppm, un valore mai osservato sulla terra negli ultimi 2,5 milioni di anni (era circa 270 ppm nell’era pre-industriale).
L’esperienza di quest’anno deve farci capire che, se vogliamo veramente ridurre le emissioni di gas serra, dobbiamo agire immediatamente, con convinzione e costanza. Per contenere la diffusione di COVID-19, in Italia abbiamo deciso di fermare le attività umane (il trasporto, il lavoro, la scuola …) per circa due mesi. Il risultato si è visto immediatamente: una riduzione sostanziale dell’inquinamento e una riduzione delle emissioni di gas serra di circa il 40-50% per ogni mese di fermo. Come noi hanno fatto molte altre nazioni. Ma, in termini medi globali e annuali, ci si aspetta che l’impatto dei vari lockdown si tradurrà in una riduzione di circa il 4% rispetto al 2019: un numero piccolo, se ci pensate. È chiaro che non possiamo permetterci di fermare le attività umane per mesi per ridurre le emissioni: nessuno lo chiede. Ma dobbiamo assolutamente ridisegnarle, trasformarle, affinché si possa continuare a garantire il lavoro, la scuola e lo sviluppo, riducendo, allo stesso tempo, le emissioni di gas serra.
Abbiamo le tecnologie per trasformare le attività umane: pensate al trasporto elettrico e alla produzione di elettricità con centrali eoliche, solari, idroelettriche o nucleari. Pensate a un’agricoltura a km 0 o a una riduzione del consumo di carne “rossa”, con conseguente riduzione degli allevamenti di bestiame, o a un migliore isolamento termico delle case che porti a una riduzione dei consumi energetici. Abbiamo anche le risorse necessarie per implementare questa trasformazione: gli economisti parlano di investimenti pari a circa il 2-2,5% del prodotto nazionale lordo (9,1) da destinare a questa trasformazione, fino al suo completamento (diciamo per i prossimi 20 anni). Una cifra che i paesi maggiormente responsabili dell’accumulo di gas serra nell’atmosfera (USA, Canada, Europa, Australia, Russia) hanno a disposizione. Per esempio, è un valore confrontabile con le loro spese militari medie annuali: non avrebbe forse un impatto maggiore sul benessere futuro dei cittadini di ogni nazione investire queste percentuali del prodotto nazionale lordo per affrontare e risolvere i problemi legati al cambiamento climatico?
La richiesta alle Istituzioni italiane del luglio 2019
La scienza ci dice anche che, se non vengono prese azioni concrete per ridurre da subito e in maniera sostanziale le emissioni di gas serra, le generazioni future dovranno affrontare situazioni molto più critiche di quelle che abbiamo vissuto fino a oggi. Le proiezioni dell’evoluzione del clima futuro riportare nei rapporti IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dicono che, se continuiamo con i livelli di emissione degli ultimi 10 anni e non riduciamo sostanzialmente le emissioni, il riscaldamento medio globale passerà dagli attuali 1,3 gradi a oltre 2 gradi, fino a raggiungere, entro la fine del secolo, i 3-4 gradi. Valori medi globali di questa grandezza si potrebbero tradurre in valori medi di 6-8 gradi per la regione mediterranea, con un conseguente impatto sostanziale sull’intensità e sulle frequenze delle ondate di calore.
Vorrei accennare un’iniziativa Italiana del 2019 che ha ricevuto un grande supporto a livello italiano, la lettera/petizione inviata alle cariche istituzionali italiane (Presidente della Repubblica, Presidente di Camera e Senato e Presidente del Consiglio) nel luglio del 2019. Una lettera intitolata “IL RISCALDAMENTO GLOBALE È DI ORIGINE ANTROPICA”, promossa dal sottoscritto, redatta con 5 colleghi esperti di clima e fisica dell’atmosfera, firmata da più di 300 scienziati esperti in materia e sottoscritta da circa 25.000 persone.
La lettera si apriva dicendo:
“È urgente e fondamentale affrontare e risolvere il problema dei cambiamenti climatici. Chiediamo che l’Italia segua l’esempio di molti paesi europei e che decida di agire sui processi produttivi e sul trasporto, trasformando l’economia in modo da raggiungere il traguardo di “zero emissioni nette di gas serra” entro il 2050”.
E si chiudeva affermando che:
“Concludiamo riaffermando con forza che il problema dei cambiamenti climatici è estremamente importante e urgente, per l’Italia come per tutti i paesi del mondo. Politiche tese all’adattamento a questi cambiamenti climatici e alla loro mitigazione dovrebbero essere una priorità importante del dibattito politico nazionale per assicurare un futuro migliore alle prossime generazioni”.
Un vostro collega, il Dottor Franco Bergesio, con entusiasmo ha citato questa lettera, che ha chiamato “Il manifesto della Scuola Sant’Anna”, in riviste mediche e ha cercato di spingere anche la vostra comunità ad agire. Va in questa direzione anche questo mio intervento, che Franco mi ha chiesto di preparare.
Purtroppo, a parte una breve lettera di risposta del Presidente della Repubblica che augurava agli scienziati “buon lavoro”, nessuna risposta è giunta dagli altri Presidenti. La lettera è arrivata alle Commissioni Ambiente di Camera e Senato, ma lì, da quanto sappiamo, si è fermata. Nessuna risposta e/o nessun commento sono venuti dal Presidente del Consiglio. Al contempo, nessuna azione concreta e immediata è stata intrapresa per ridurre le emissioni.
Nonostante questo esito, penso che il fatto che sia qui a scrivere questo testo, che testi simili mi siano stati richiesti da altre comunità e professionisti e che altri miei colleghi siano sempre più frequentemente invitati a discutere su come risolvere il problema sia un aspetto positivo. Nel senso che considero questi episodi, che definirei di comunicazione corretta e fattuale del problema, propedeutici ad azioni di mitigazione e adattamento.
Mi chiedo se un nuovo documento che segua quello inviato nel luglio del 2019 ma che sia scritto non solo dagli scienziati che studiano il sistema Terra ma anche dalle principali componenti della società civile, come giuristi, architetti, scienziati che lavorano in altri campi, economisti e, soprattutto, medici, che conoscono le ricadute sulla salute dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento, potrebbe aiutare a comunicare che il cambiamento climatico va affrontato e che abbiamo i mezzi per farlo. Questo documento dovrebbe ribadire la necessità di azioni concrete immediate che promuovano la transizione ecologica e richiedere che l’Italia sia uno dei primi paesi europei a raggiungere gli obiettivi sanciti nell’European Green Deal promosso dalla Presidente Ursula Von der Leyen. Andrebbe inviato al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato e al Presidente del Consiglio e pubblicizzato sui media. In questa iniziativa, i medici potrebbero giocare un ruolo molto importante, “un ponte” tra le evidenze della scienza (di cui i medici sono parte) e la salute della gente, di cui restano i principali custodi e garanti.
Il cambiamento climatico ha un impatto sulla salute
L’impatto del cambiamento climatico sulla salute è sempre più evidente, come immagino sappiate. Per esempio, “The Lancet”, una delle più quotate riviste internazionali, pubblica ogni anno un rapporto intitolato “The Lancet countdown: tracking progress on health and climate change” (10), che, nel rapporto del 2017, riportava:
- sull’effetto delle ondate di calore sulla salute: nel 2016, 125 milioni di persone vulnerabili con età maggiore di 65 anni sono state esposte a ondate di calore;
- l’esposizione a temperature molto elevate causa dei colpi di caldo e può esacerbare problemi di cuore o di reni;
- a causa del cambiamento climatico, nei paesi dove la “febbre dengue” è endemica, la capacità dei vettori (zanzare) di trasmissione è aumentata di circa il 10%, dal 1950 a oggi;
- durante l’ondata di calore che ha colpito l’Europa nel 2003, si sono registrati circa 70.000 morti in più che durante le estati con temperature nella media;
- l’inquinamento dell’aria causa un aumento del numero di morti legate a malattie cardiache e polmonari.
Nell’ultimo rapporto del 2019, “The Lancet countdown” (11), si chiudeva affermando che implicazioni per la salute della crescita continua delle emissioni di gas serra sono sempre più evidenti e lo saranno sempre di più negli anni futuri. Anche il New England Journal of Medicine, una tra le più prestigiose riviste mediche, ha pubblicato, negli ultimi anni, molti lavori sull’emergenza climatica e sulle sue ricadute sulla salute (12).
Azioni di adattamento (per esempio, per ridurre l’esposizione a temperature troppo alte) possono sicuramente aiutare a ridurre l’impatto delle future ondate di calore. Ma le azioni da promuovere e sostenere sono quelle che portano a una costante diminuzione delle emissioni, fino a raggiungere zero emissioni nette il prima possibile. Solo con queste azioni possiamo evitare che le generazioni future siano costrette ad affrontare situazioni sempre più estreme, come ho detto prima.
Occorre trasformare le attività umane e ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra
Azioni concrete e immediate, sia di mitigazione che di adattamento, sono necessarie per affrontare il problema, e le nazioni più ricche e industrializzate sono chiamate ad agire per prime. La parte del mondo più ricca, che ha beneficiato maggiormente dello sviluppo economico, causando la maggior parte delle emissioni di gas serra, e che ha le risorse per adottare azioni di mitigazione (di riduzione delle emissioni di gas serra) e di adattamento, è chiamata a riconoscere le sue responsabilità e a dare l’esempio. Noi, cittadini di una delle nazioni più ricche del mondo e tra i maggiori contribuenti dell’accumulo di gas serra nell’atmosfera, dobbiamo agire.
Occorre trasformare le attività umane per non far più dipendere la crescita economica dall’aumento delle emissioni e giungere a zero-emissioni-nette di gas serra il più preso possibile. Cambiare modello di sviluppo e dare maggiore priorità all’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra. Paesi ricchi e industrializzati come l’Italia, che hanno risorse disponibili, devono dare l’esempio e mostrare come sia possibile garantire benessere, sviluppo e occupazione e ottenere, allo stesso tempo, una riduzione costante e sostanziale delle emissioni. Occorre agire in tal senso, anche se si toccano importanti interessi economici: continuare a posticipare azioni concrete di riduzione delle emissioni rende il problema sempre più complesso, causerà sempre più sofferenze nei paesi più deboli, creerà sempre più un divario tra chi ha le risorse per crescere e adattarsi al cambiamento climatico e chi non le ha.
Cosa possiamo fare come singoli individui?
Penso che possiamo fare moltissimo e che, se vinciamo una pigrizia mentale e comportamentale, possiamo sia ridurre le nostre emissioni che convincere gli altri a fare altrettanto.
Come persone di conoscenza, informate su quello che accade, possiamo e dobbiamo comunicare ed educare. È incredibile come oggi, 32 anni dopo la costituzione di IPCC e 30 anni dopo la pubblicazione del suo primo rapporto (13), ci sia ancora moltissima ignoranza sul cambiamento climatico, e questa ignoranza è, sicuramente, una delle cause principali dell’inazione. Ci sono informazioni false, che vengono utilizzate per giustificare l’inazione: tali informazioni vanno confrontate con i fatti e i risultati della scienza. Le persone che promuovono la mal-informazione vanno convinte che sbagliano, utilizzando fatti e applicando la scienza, e che sono in errore. Occorre convincere i media a non pubblicare false informazioni, anche se possono “portare audience”, ma che occorre informare correttamente e con un linguaggio appropriato (senza sensazionalismi) su cosa sta succedendo al pianeta.
Un’altra causa dell’inazione è il fatto che azioni di mitigazione e adattamento toccano enormi interessi e, quindi, c’è moltissima resistenza a intraprenderle. Come persone di conoscenza, dobbiamo mettere in evidenza l’esistenza di tali interessi e, quindi, richiedere che azioni che riducano le emissioni da subito vengano intraprese anche se toccano questi interessi. Di nuovo, una maggiore conoscenza ci può aiutare in queste difficili conversazioni. L’elezione di persone competenti a livello decisionale può aiutare a prendere quelle decisioni necessarie per ridurre le emissioni. Possiamo richiedere azioni concrete ai nostri rappresentati politici, eletti nel Parlamento. Esercitando il diritto di voto, possiamo indurre i politici a impegnarsi seriamente e concretamente, da subito, per ridurre le emissioni di gas serra.
Come individui, possiamo cambiare stile di vita e ridurre le nostre emissioni. Cambiando alimentazione, il modo in cui ci muoviamo e il sistema di trasporto che utilizziamo e riducendo i nostri consumi energetici, possiamo ridurre in maniera sostanziale le nostre emissioni da subito!
Penso che il problema del cambiamento climatico sia oramai sostanzialmente un problema politico. Dal punto di vista scientifico, abbiamo abbastanza evidenze e informazioni per capire cosa sia successo nell’ultimo secolo e in che direzione stiamo andando. Anche se i dettagli del futuro sono incerti, la direzione è quella, senza alcun dubbio, a meno che non si decida di cambiare e de-carbonizzare, come ho scritto prima. Abbiamo le tecnologie e le risorse per ridurre le emissioni: affrontare il cambiamento climatico, de-carbonizzare, è una “missione possibile”. Dobbiamo solo decidere di farlo! Se lavoriamo insieme possiamo rallentare il riscaldamento e contenerlo entro livelli gestibili. Ma dobbiamo iniziare da subito a ridurre sostanzialmente le emissioni, diciamo almeno del 5% all’anno, anno dopo anno, a partire dal 2021.
Disclosures
Conflict of interest: The author declares no conflict of interest.
Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.
Bibliografia
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