G Clin Nefrol Dial 2020; 32: 90-91 DOI: 10.33393/gcnd.2020.2147 POINT OF VIEW |
Mascherine (in tempo di COVID-19 e comunicazione)
Received: May 27, 2020
Accepted: June 3, 2020
Published online: June 25, 2020
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Ultima maschera della finzione più bella
fugge Arlecchino da questo Carnevale
impaurito e triste, lo sguardo nascosto
di chi vuol restare solo col proprio dolore.
Altre maschere coprono ora i volti
senza coriandoli, diverse da sempre
nello strascico della Quaresima
di un Dio già malato a Natale.
Flebili voci infette alitano nell’aria
i sospiri d’una libertà che manca
girone d’un purgatorio in terra
che non credevamo ma che meritiamo.
Urla da ogni dove la fame di tutto
di sogni d’amore, d’un fresco e pulito
domani che non verrà mai come
un cammello non passa la cruna d’un ago.
E sempre più freddo stride tra i denti
il falso sorriso che andrà tutto bene
già manca da tempo la stretta di mano
la parola che data non cambia nel tempo.
Piangiamo tutti, si piangono i morti
spariti in fretta senza conforto
nel breve deserto d’un sonno finto
finito per sempre in un sacco chiuso.
Sono i giorni del falco che rotea nel cielo
su canuti mercanti a contare denari,
sono i giorni più adatti a capire chi siamo
nel brusio delle voci che si leva lontano.
Commento a cura di Marco Lombardi
Editor in Chief, Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi
La comunicazione, l’empatia e la capacità di stabilire una relazione non sono cose che i medici di solito imparano all’Università (1).
È spettacolare come in sette quartine di una poesia si possano raccontare così tante cose, ”tutte cose”.
Come scrive Sandro Spinsanti in “La medicina salvata dalla conversazione” (2) … l’informazione circola, anche se la bocca rimane chiusa (ndr: cosa molto opportuna di questi tempi). Parlano gli occhi, il silenzio stesso parla, le pause sono molto eloquenti. Per non dire quanto può raccontare un sorriso o la sua assenza …
Non si tratta di comunicazione numerica (dare un nome alle cose) si tratta piuttosto di una forma sublime di comunicazione analogica (rappresentabile in vario modo, in questo caso sotto forma di poesia), dove le quartine assumono, nel nostro pensiero, anche ciò che non è verbale e che arricchisce e colora ”il verbo” (nella vita pre-COVID la posizione e la gestualità del corpo, le espressioni del volto, l’inflessione, il ritmo e la cadenza della voce e delle parole, ecc. ecc.), qui assolutamente la metafora, l’immaginifico, il bisogno dei versi.
Se il medico (per dire di un operatore della sanità) è spesso ancorato, per necessità, alla forma comunicativa numerica, quella più prettamente umana e che permette la trasmissione di informazioni precise (una classica anamnesi), ci sono situazioni e momenti particolari in cui prevale la forma comunicativa analogica, ovvero quella che abbiamo in comune con il mondo animale. Come scrive sempre Spinsanti, la morte e la nascita sono due situazioni in cui tipicamente prevale la comunicazione analogica, dove la ”relazione” prevale sull’”informazione”. Un’altra situazione in cui prevale certamente la comunicazione analogica è la malattia.
Prendersi cura di un malato: lo si può fare in tanti modi, riuscendo ad ascoltarlo, permettendogli di raccontarsi o con il raccontarsi dello stesso operatore, con dei gesti d’affetto, con un immagine e, perché no, con una poesia (scritta o letta).
Di questi tempi, purtroppo, non tutti l’hanno ancora compreso, il più illustre malato è il Nostro Pianeta e, di conseguenza, sono malati tutti quelli che lo abitano, imprescindibilmente da specie animali, vegetali, minerali e quant’altro. È un caso clinico in cui non si potrà prescindere da una comunicazione corretta e dalla centralità delle relazioni.
Chiudo questo cerchio scrivendo che, nella poesia, in questa poesia, io trovo relazioni e analogie tremende e vere (purtroppo) con la situazione attuale, pregressa e futura.