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AboutOpen | 2022; 9: 73-76

ISSN 2465-2628 | DOI: 10.33393/ao.2022.2436

REVIEW

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Gestione della coagulopatia e dell’emorragia nel paziente epatopatico

Direttore UOC Anestesia e Rianimazione Trapianti, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Università degli Studi, Pisa - Italy

Coagulopathy and hemorrhage management in cirrhotic patients

It has been reported that cirrhotic patients have among the highest risks of postoperative complications and mortality. They are not characterized by an intrinsic hemorrhagic diathesis, as it would be expected; instead, they are defined by an inability to handle surgical stress due to a decreased reservoir capacity of their hemostatic function that leads to liver decompensation. Their anesthesiologic profile is delicate not only due to their hepatic condition, but also due to the many factors that need to be closely monitored, such as portal hypertension and renal function. Other aspects to consider in a cirrhotic clinical picture are the hepatic blood flow (that by decreasing can induce a higher vulnerability to hepatic ischemia) and the increased necessity to maintain a lower central venous pressure and homeostasis. In this scenario, standardized coagulation tests are not recommended to assess the bleeding risk nor to dictate treatment in the event of perioperative bleeding, as they are both unreliable and not fully representative of the patient’s hemostatic capacity. Similarly advised against is prophylactic plasma treatment as it does not guarantee a reduction in bleeding risk and it can induce an increase in portal vein pressure. Coagulation Point of Care testing, however, has been shown to give a more accurate estimate of the hemostatic capacity and to reduce the number of ineffective transfusion therapies. For all of the above-mentioned reasons and the increased risk of postoperative thrombosis, cirrhotic patients should be closely monitored and considered as high-risk patients.

Indirizzo per la corrispondenza:
Giandomenico Luigi Biancofiore
UOC Anestesia e Rianimazione Trapianti
Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
Università degli Studi, Pisa
Via Paradisa 2
56124 Pisa, Stabilimento di Cisanello - Italy
giandomenico.biancofiore@unipi.it

AboutOpen - ISSN 2465-2628 - www.aboutscience.eu/aboutopen
© 2022 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu

Introduzione

Il sanguinamento perioperatorio e la coagulopatia rappresentano uno degli scenari clinici più complessi da gestire per l’anestesista rianimatore nei pazienti cirrotici chirurgici o in quelli con ridotta funzionalità epatica.

Uno studio prospettico di coorte internazionale, condotto in 27 paesi su 44.814 malati, ha investigato gli esiti a seguito della chirurgia elettiva in pazienti adulti. Si è potuto osservare come, nonostante i pazienti cirrotici rappresentassero una minima percentuale dei pazienti presi in considerazione nello studio, si trovassero al terzo posto per complicazioni e mortalità (1).

Il fegato, infatti, ha un ruolo centrale nel mantenere l’omeostasi fisiologica in molti sistemi (p. es., metabolismo di cibo e farmaci, sintesi di proteine plasmatiche, risposta immunitaria) e le conseguenze sistemiche causate da disfunzione epatica, note e ben descritte in letteratura da qualche anno, sono in grado di impattare in modo significativo sugli esiti post-chirurgici (2).

Le complicanze postoperatorie possono comparire nonostante una gestione perioperatoria ottimale, quando lo stress chirurgico supera la “riserva epatica”, portando a uno scompenso epatico.

La stratificazione del rischio di questa particolare categoria di pazienti è ancora difficile a causa della limitata accuratezza degli strumenti oggi disponibili e il dibattito sul “metodo migliore” continua ancora. Pertanto, l’esperienza personale del singolo anestesista-rianimatore rimane tuttora ciò che può fare la differenza nella gestione di questo complesso scenario clinico (2-6).

Per molto tempo si è pensato che i pazienti con malattia epatica cronica avessero un rischio di sanguinamento perioperatorio maggiore rispetto ai soggetti non epatopatici e che risultati anormali dei test standard dell’emostasi potessero prevedere tale rischio. Tuttavia, una serie di studi ha messo in evidenza a partire dalla seconda metà degli anni 2000 come i pazienti con malattia epatica cronica possano essere in una sorta di “ribilanciamento” della funzione emostatica a causa di cambiamenti concomitanti che riguardano le vie sia pro- che anti-emostatiche, come mostrato nella Figura 1 (7,8).

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Fig. 1 - Fattori che prendono parte al “ribilanciamento” emostatico nei pazienti con cirrosi. TAFI: thrombin activatable fibrinolysis inhibitor; tPA: tissue plasminogen activator; vWF: von Willebrand factor; ADAMTS-13: a disintegrin and metalloproteinase with a thrombospondin type 1 motif, member 13. Modificata da (8) con il permesso dell’Editore.

Secondo le attuali conoscenze, i pazienti cirrotici non sono caratterizzati da una diatesi emorragica intrinseca ma piuttosto da una ridotta capacità di riserva della loro funzione emostatica, con una conseguente ridotta capacità di tamponare eventi acuti. In queste condizioni, lo stato di equilibrio emostatico che caratterizza i pazienti epatopatici è fragile e può rapidamente sbilanciarsi verso il sanguinamento o la trombosi, a seconda dei fattori di rischio prevalenti (p. es., AKI, sepsi, chirurgia).

In tale contesto, i test standard di laboratorio sulla coagulazione non devono essere utilizzati come misura del rischio di sanguinamento (9).

In letteratura, infatti, si converge ampiamente sul fatto che nei pazienti cirrotici i valori derivanti dalle analisi di laboratorio siano poco affidabili e che quindi possano risultare fuorvianti. Il PT/INR, per esempio, si basa sul solo plasma e manca di tutte le interazioni tra i diversi attori dell’emostasi (p. es., endotelio, PLT, fattori fibrinolitici, proteina C). L’INR è stato ideato e convalidato solo per i pazienti in trattamento con farmaci anti vitamina K (VKA). L’INR si dimostra poco affidabile anche a causa di una variabilità sia intra-laboratorio che inter-laboratorio (10,11).

Inoltre, la conta piastrinica non riflette lo stato di ribilanciamento emostatico caratteristico della cirrosi: nei pazienti stabili, una conta PLT bassa non è necessariamente un indicatore di un aumento del rischio di sanguinamento e della necessità di trasfusione di piastrine. Analogamente, il dosaggio ematico del livello di fibrinogeno non riflette la disfibrinogenemia cirrotica (11-15).

Tutte queste evidenze confermano il fatto che i test di laboratorio possano essere di dubbio riferimento in quanto non riflettono la reale capacità emostatica del paziente cirrotico e quindi non dovrebbero essere usati né per valutare il rischio di sanguinamento né per guidare il trattamento in caso di sanguinamento perioperatorio (16).

Relativamente all’approccio anestesiologico complessivo del paziente cirrotico sottoposto a chirurgia, non sono ancora disponibili riferimenti certi e condivisi. È pertanto evidente che nella pratica clinica questi pazienti debbano essere seguiti clinicamente e monitorati attentamente fin dal preoperatorio. In caso di chirurgia programmata, è necessario che nella fase che precede l’intervento si adottino tutti gli interventi possibili per ottenere il miglior grado di compenso generale e della funzione epatica. A tal fine, è possibile, per esempio, intervenire ottimizzando lo stato nutrizionale e gestire l’ipertensione portale e la disfunzione renale.

L’utilizzo del plasma come profilassi per la correzione preoperatoria dell’INR non pone al riparo dall’emorragia intraoperatoria, sia perché, come abbiamo già visto, i valori di INR sono particolarmente inaffidabili nel cirrotico, sia perché la volemia che si aggiunge somministrando il plasma può portare a un aumento della pressione portale con conseguente rischio paradosso di sanguinamento dalle strutture vascolari venose traumatizzate dall’azione del chirurgo (6,12,13,17,18).

Un approccio possibile in caso di intervento chirurgico o di qualunque procedura invasiva potrebbe essere il seguente (7,12,16):

  • con conta piastrinica PLT >50 × 109/L, non utilizzare FFP o PLT, per qualunque valore di INR. Considerare invece la sostituzione del fibrinogeno, se ridotto (<120-150 mg/dL);
  • con conta piastrinica PLT <50 × 109/L, considerare la tras­fusione profilattica di PLT.

Nella gestione anestesiologica dei pazienti epatopatici, i principi generali che vengono di seguito elencati incontrano la condivisione della maggior parte degli esperti e delle evidenze disponibili.

Perfusione del fegato

In volontari sani si è osservato come il flusso sanguigno epatico possa ridursi anche del 35%-42% nei primi 30 minuti dopo l’induzione dell’anestesia. Nei pazienti con cirrosi, in corso di anestesia, il meccanismo di compenso per permettere al fegato di ricevere la quantità di ossigeno di cui necessita attraverso una vasodilatazione compensatoria dell’arteria epatica (Hepatic Artery Buffer Response) non ha luogo. Inoltre, manovre chirurgiche come la trazione o l’aumento della pressione intra-addominale possono compromettere ulteriormente la perfusione epatica. Pertanto, durante la chirurgia, il fegato è molto vulnerabile all’ischemia e questo porta a un aumento del rischio di scompenso epatico postoperatorio con outcome negativo dopo l’intervento.

Durante l’intervento è quindi importante evitare l’ipotensione e dosaggi eccessivi di farmaci vasocostrittori oltre che monitorare con cura i malati per quanto riguarda la perfusione epatica e la DO2, anche se si tratta di chirurgia non maggiore (4-7).

Gestione dei fluidi

È importante mantenere un approccio fluidico che eviti un sovraccarico volemico del l distretto splancnico con conseguente ipertensione e aumentato rischio di sanguinamento. Un approccio classico è quello che prevede di mantenere valori bassi di pressione venosa centrale. Uno studio del 2006 riporta come i malati in cui sia stata mantenuta una PVC <5 cm H2O con farmaci dilatatori, ma anche con salassi, abbiano ricevuto meno trasfusioni a fine intervento (19).

Tale atteggiamento non deve però andare a scapito del mantenimento di adeguati valori di pressione arteriosa e quindi di perfusione d’organo. Infatti, una recente meta-analisi indica chiaramente come l’ipotensione arteriosa sia associata a diverse e gravi complicanze postoperatorie, per esempio cardiache e renali. In definitiva, più che un approccio PVC-guidato, si consiglia l’applicazione di un algoritmo di goal-directed therapy (20). Nel paziente chirurgico non cardiaco ad alto rischio, l’attuazione di un protocollo finalizzato all’ottimizzazione dell’emodinamica è associata a un ridotto bilancio idrico e a una migliore perfusione d’organo (21). L’algoritmo della SIAARTI fornisce un utile approccio in questo senso.

Omeostasi

Nel paziente cirrotico vi è una necessità ancora maggiore che nei soggetti non epatopatici di mantenere la temperatura corporea, il bilancio acido/base e l’equilibrio elettrolitico entro valori fisiologici e di porre particolare attenzione al tipo di fluido utilizzato. Per esempio, i colloidi possono interferire direttamente con la funzione omeostatica.

Gestione della coagulazione

I test Point of Care (POC), come TEG® o ROTEM®, che valutano le caratteristiche viscoelastiche del sangue, consentono di avere a disposizione un profilo realistico e dinamico della competenza emostatica del singolo malato e pertanto, piuttosto che i test di laboratorio standard, questi strumenti dovrebbero essere usati come riferimento nella gestione dell’emostasi nei pazienti cirrotici chirurgici (7,9,10,17,22-26).

Questo tipo di approccio può ridurre le esigenze complessive di trasfusione poiché da un approccio di tipo empirico consente di passare a una gestione specifica dei vari difetti della coagulazione in una fase precoce.

Inoltre, la trasfusione di plasma fresco congelato non deve essere attuata come profilassi ma solo nel caso di reali esigenze cliniche (“wait and see policy”). Molto utile si è rivelato l’impiego di concentrati di fibrinogeno mentre, relativamente a quello dei concentrati dei fattori della coagulazione, esistono alcuni dati a supporto provenienti da studi monocentrici ma sono necessari ulteriori studi specialmente relativamente al profilo della sicurezza del loro impiego (rebound ipercoagulativo). Non ci sono indicazioni o dati a favore dell’impiego del rFVIIa.

Infine, test POC TEG® e ROTEM® sono fondamentali per la diagnosi della fibrinolisi (7) e per guidarne la terapia attraverso la somministrazione di acido tranexamico. Infine, esistono evidenze cliniche emergenti secondo le quali i pazienti cirrotici possano sviluppare trombosi postoperatoria anche se i test di routine della coagulazione plasmatica di laboratorio suggeriscono uno stato di ipocoagulazione e pertanto si dovrà porre una particolare attenzione in tal senso durante il decorso postoperatorio.

Conclusioni

I pazienti chirurgici cirrotici devono essere considerati pazienti ad alto rischio, indipendentemente dal tipo/invasività delle procedure e quindi dovrebbero essere gestiti conseguentemente considerando una loro osservazione in ambienti monitorizzati per almeno le prime 24-48 ore post-intervento.

Acknowledgements

We would like to thank Antonella Managò and Francesca La Rosa who, on behalf of Health Publishing & Services Srl, provided publishing support and journal styling services.

Disclosures

Conflict of interest: The Authors declare no conflict of interest.

Financial support: CSL Behring funded the publishing support and journal styling services. CSL Behring had no role in the conduct of the research, in the preparation of the article, in the study design, in the collection, analysis and interpretation of data, in the writing of the report, and in the article for publication.

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