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AboutOpen | 2021; 8: 14-22

ISSN 2465-2628 | DOI: 10.33393/ao.2021.2221

REVIEW

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La nuova formulazione di soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% soluzione cutanea: razionale e vantaggi nel trattamento delle lesioni infette

Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Università Politecnica delle Marche, Ancona - Italy

The new formulation of the 0,05% sodium hypochlorite electrolytic solution for cutaneous use: reasons and advantages

Superinfection of skin lesions is quite common, and often delays wound recovery. Infection control plays therefore a key role in the management of skin lesions, requiring the use of specific antimicrobials. Among available agents, topic antiseptic drugs are currently recommended as a first-choice option, to be preferred to antibiotics, given the growing resistance to these drugs. Compared to antibiotics, antiseptic drugs have a wider spectrum of action, including bacteria, fungi, virus, protozoa, and prions. The ideal antiseptic for the management of an infected skin lesion is expected to be both highly effective and well tolerated, in order to promote the physiologic process of tissue restoration. Among available antiseptics, the 0,05% sodium hypochlorite electrolytic solution meets these criteria: the product proved to be effective in vitro and in animal experimental models against a wide range of microorganisms, besides exerting an anti-inflammatory action in the absence of any irritating, cytotoxic or carcinogenic adverse effect, and being useful in biofilm removal. Similarly, in several clinical trials, the 0,05% sodium hypochlorite electrolytic solution was demonstrated to be very effective and safe in the management of infected skin wounds: based on these results, this product should be strongly considered among the first-choice options for the disinfection of skin wounds. The new formulation, developed according to the latest reference standards for wound healing and in agreement with current guidelines, is qualitatively improved, with an expected positive impact in every field of clinical application and a subsequent benefit for treated patients.

Corresponding author
Alessandro Scalise
Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
Università Politecnica delle Marche
Via Tronto 10/A
60121 Ancona - Italy
alessandro.scalise@ospedaliriuniti.marche.it

© 2021 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu

Introduzione

La cute rappresenta la prima linea di difesa contro un ampio spettro di agenti microbici potenzialmente patogeni. Quando l’integrità della cute viene meno a causa di una ferita, il rischio di infezione aumenta (1). I patogeni maggiormente implicati nelle infezioni cutanee sono lo Staphylococcus aureus e gli streptococchi di gruppo A in ambito extra-ospedaliero, mentre Staphylococcus aureus, Enterococcus spp., stafilococchi coagulasi negativi, Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa sono i patogeni più comunemente responsabili delle infezioni nosocomiali a carico della cute e dei tessuti molli (1). Le infezioni sono una delle cause principali di rallentata guarigione delle ferite: il loro controllo riveste quindi un ruolo chiave nella gestione clinica dei pazienti, soprattutto nel caso di presenza concomitante di diabete, condizione associata a un’aumentata suscettibilità alle infezioni a causa dell’alterata risposta immunitaria (2). A tale scopo è essenziale l’adozione di procedure asettiche, così come l’impiego di prodotti antimicrobici specifici, che si dividono in due grandi gruppi: gli antisettici e gli antibiotici (3). A causa del progressivo aumento dell’antibiotico-resistenza, associata all’utilizzo spesso indiscriminato della terapia sistemica, la British Society for Antimicrobial Chemotherapy (BSAC) e la European Wound Management Association (EWMA) raccomandano per il trattamento delle ferite infette l’impiego preferenziale di antimicrobici non contenenti antibiotici. Queste raccomandazioni risultano valide soprattutto nella realtà italiana, dove nonostante il consumo sia in leggera diminuzione rispetto agli anni passati, il ricorso agli antibiotici risulta ancora superiore alla media europea. L’esistenza di una grande variabilità di utilizzo degli antibiotici a livello regionale suggerisce l’esistenza di un possibile margine di miglioramento nella gestione delle prescrizioni (4).

Gli antimicrobici non contenenti antibiotici sono somministrati esclusivamente per via topica (3,5). La via di applicazione topica presenta numerosi vantaggi rispetto alla somministrazione sistemica, tra cui il più basso rischio di sviluppo di resistenza e la più elevata concentrazione a livello locale (1,6,7). Nonostante questi vantaggi, l’impiego topico degli antisettici è limitato dalla profondità di penetrazione dell’agente, dai possibili effetti collaterali, dal danno cellulare indotto e dalla compliance del paziente (1). La scelta dell’antisettico deve quindi basarsi sul profilo di efficacia, tollerabilità e sicurezza del prodotto (8).

Le lesioni cutanee infette: cenni di epidemiologia e farmacoeconomia

Le lesioni cutanee interessano circa il 4,5% dei soggetti adulti (9). Le lesioni croniche, in particolare, interessano circa il 3% della popolazione di età >60 anni (10). L’incidenza delle lesioni croniche è in costante aumento nei Paesi occidentali, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento di varie comorbilità, quali diabete e obesità (11). Le lesioni croniche differiscono tra loro sulla base dell’eziologia e della frequenza: le ulcere da pressione rappresentano la tipologia più frequente (28,1%), seguite dalle ulcere venose (21,0%), ulcere post-traumatiche (12,0%), ulcere ad eziologia mista (9,2%), ulcere associate al piede diabetico (8,3%), ulcere arteriose (7,1%), ulcere atipiche (4,3%), ulcere associate a vasculite (4,1%), ulcere linfatiche (3,3%), mentre le forme meno frequenti sono rappresentate dalle ulcere neoplastiche (1,7%) (12). Altrettanto frequenti sono le ferite acute, conseguenti a traumi, interventi chirurgici, abrasioni o ustioni superficiali. Le infezioni della ferita rappresentano la principale complicanza post-chirurgica: in Europa, la frequenza di infezioni post-chirurgiche (surgical site infection, SSI) varia tra il 3% e il 4% dei pazienti sottoposti a interventi chirurgici ed è destinata a crescere nel prossimo futuro essendo legata all’età (la frequenza raddoppia nei pazienti di età >64 anni) (11). Questa complicanza fa spesso evolvere la lesione da acuta o sub-acuta a cronica. Lo sviluppo di ferite è spesso associato alla presenza di comorbilità, anche multiple: uno studio retrospettivo inglese ha riscontrato la presenza di comorbilità nel 94% dei pazienti con ferite, con un numero medio di 3,9 comorbilità per paziente (Tab. I) (9).

TABELLA I - Percentuale di pazienti con una comorbilità nell’anno precedente lo sviluppo di una ferita [modificata da (9)]
Comorbilità Percentuale di pazienti Valore di p
Casi (%) Controlli (%)
Cardiovascolare 73 53 <0,005
Dermatologica 59 25 <0,001
Endocrinologica 45 27 <0,01
Gastroenterologica 43 25 <0,01
Immunologica 3 0 ns
Muscoloscheletrica 37 19 <0,005
Neurologica 23 13 ns
Deficit nutrizionale 34 13 <0,001
Altra 14 7 ns
Psichiatrica 31 18 <0,05
Respiratoria 28 15 ns
Nessuna 6 23 <0,001

Un valore di p ≥0,05 è considerato non significativo (ns).

La gestione delle ferite ha un sostanziale impatto sul Sistema sanitario a livello globale, imponendo costi notevoli alla società: si stima che negli USA si spendano annualmente 25 miliardi dollari per la gestione delle ferite croniche (11,13). Analogamente, la gestione delle lesioni acute, soprattutto post-chirurgiche, impegna sempre maggiori risorse: nel Regno Unito (UK) è stato stimato che la spesa annuale totale, necessaria per la gestione delle ferite e delle comorbilità associate, sia pari a 5,3 miliardi di sterline, di cui 2,1 destinati alle ferite che vanno incontro a risoluzione e 3,2 miliardi alle ferite che cronicizzano (9), con il 25-50% dei posti-letto occupati da pazienti con lesioni cutanee in UK e fino al 66% delle infermiere dedicate al wound care nella Repubblica d’Irlanda (13). In Europa è stato stimato che il costo medio per episodio sia di 6650 euro per le ulcere alle gambe e 10.000 euro per le ulcere ai piedi, con un costo complessivo che corrisponde al 2-4% della spesa sanitaria complessiva. Gran parte dei costi associati alla gestione delle lesioni, acute o croniche, in termini di utilizzo di risorse e trattamenti, è dovuta alle complicanze soprattutto di tipo infettivo (14).

Criteri per l’identificazione delle ferite infette

Il problema della presenza e dello sviluppo dei microbi nelle ferite acute e croniche resta ancora un argomento dibattuto, soprattutto per quanto riguarda i parametri diagnostici (3). Ai criteri tradizionali di identificazione delle ferite infette (presenza di secrezioni purulente in aggiunta alle classiche manifestazioni cliniche dell’infiammazione: eritema, calore, dolorabilità, indurimento), sono stati affiancati altri criteri, detti “secondari”, che ne facilitano il riconoscimento in presenza di condizioni concomitati che possono mascherare del tutto o in parte i criteri primari, quali neuropatia (che può nascondere o essere essa stessa causa del dolore), ischemia (che può ridurre l’eritema, la vascolarizzazione e l’edema organizzato) o insufficienza venosa (che può mascherare l’ipervascolarizzazione o il flebolinfedema) (3). Tali criteri comprendono la presenza di essudato non purulento, tessuto di granulazione friabile, presenza di sottominature della ferita, odore anomalo (15,16).

D’altra parte, l’identificazione dell’infezione tramite un approccio “microbiologico” (in base cioè alla presenza di specie particolarmente virulente o all’entità della carica batterica locale) è un argomento in discussione: secondo alcuni infatti, esisterebbe uno stadio iniziale in cui la ferita è colonizzata (ma non infettata) da una o più specie batteriche (tra cui Morganella spp., Pseudomonas aeruginosa e Peptostreptococcus spp.), che provocano eritema e ritardano il processo di guarigione senza innescare la risposta immune dell’ospite. Il riconoscimento di questo stato di “colonizzazione critica” (definita come moltiplicazione di organismi senza invasione ma interferenti con il processo di guarigione della ferita) come uno stadio distinto e clinicamente importante nel continuum dell’infezione della ferita (Tab. II) (17) è indispensabile per poter porre una diagnosi precoce e indirizzare di conseguenza l’approccio terapeutico (18).

Secondo altri invece, la diagnosi dovrebbe tradizionalmente basarsi sull’entità della carica batterica (definita come ≥105 colonie per grammo di tessuto) (18). Vari studi suggeriscono tuttavia che più che la densità di microrganismi o la presenza di specie batteriche particolari, sono la varietà di microrganismi presenti e la risposta del paziente alla colonizzazione a determinare la gravità dell’infezione e contribuire al rallentamento del processo di guarigione (10).

TABELLA II - Classificazione dei diversi stadi di infezione delle ferite [modificata da (17)]
Termine Caratteristiche
Contaminazione Sono presenti microrganismi e sono adesi ai tessuti (adesione microbica).
Colonizzazione Sono presenti microrganismi e proliferano; è (inizialmente) assente una reazione immunitaria dell’ospite clinicamente significativa.
Colonizzazione critica Proliferazione microbica senza segni classici di infezione ma ritardato processo di guarigione dovuto a produzione di tossine/oppure ferita colonizzata da ceppi antibiotico-resistenti senza segni o sintomi di infezione.
Infezione locale Reazione immunitaria dell’ospite clinicamente osservabile con i tipici segni di infezione, incluso l’arrossamento (eritema 1-2 cm dai margini della ferita) il cui aumento potrebbe indicare il diffondersi dell’infezione con rischio di generalizzazione, il gonfiore, l’aumento della temperatura cutanea/tissutale locale, il dolore, la compromissione funzionale e l’aumento della quantità e viscosità dell’essudato, per es. odore percepibile e stasi nel processo di guarigione.
Infezione sistemica Oltre alle reazioni infiammatorie locali, segni di una reazione sistemica dell’ospite come leucocitosi, aumento della proteina C-reattiva e febbre.

Il progressivo rallentamento del processo di guarigione è spesso associato alla presenza di specie batteriche in grado di formare particolari aggregati, detti biofilm, particolarmente resistenti agli interventi anti-microbici (19,20). Il biofilm è definito come una condizione in cui i microrganismi si aggregano su una superficie o su un’interfaccia aria-liquido e crescono, rimanendo inglobati in una matrice che essi stessi producono, formata da sostanze polimeriche extracellulari comprendenti proteine, lipidi e polisaccaridi (Fig. 1) (20).

All’interno della matrice del biofilm, che rappresenta un ambiente unico con proprietà diverse dall’ambiente esterno, le specie batteriche modificano il loro fenotipo soprattutto in termini di velocità di proliferazione e attività metaboliche. Inoltre, attraverso la matrice del biofilm, i microrganismi acquisiscono la capacità di comunicare, il cosiddetto quorum sensing, attraverso la secrezione di piccole molecole organiche in risposta alla densità raggiunta. Questa rete di comunicazione consente ai batteri di acquisire un’organizzazione simile a quella di un organismo pluricellulare e regolare la formazione del biofilm e la sua risposta agli insulti esterni. Una caratteristica chiave del biofilm è inoltre la capacità di conferire ai batteri che ne fanno parte una maggiore resistenza agli insulti meccanici, chimici, immunologici e antimicrobici, oltre a una maggiore efficienza metabolica, una migliore accessibilità ai substrati e un’aumentata capacità di autoriparazione e rigenerazione in caso di danno. Le ferite croniche rappresentano un terreno fertile per la formazione di biofilm, a causa della presenza di tessuto necrotico suscettibile alle infezioni e dell’alterazione della vascolarizzazione che impedisce al sistema immunitario di sviluppare una risposta efficace. Si stima che circa il 70-80% delle ferite croniche (21) sia colonizzato da batteri formanti biofilm, contro il 6% delle ferite acute: il biofilm deve quindi essere considerato come un target importante del trattamento. Purtroppo, la pulizia chirurgica, attualmente considerata il metodo di rimozione del biofilm dotato del migliore rapporto costo/efficacia, non sempre è risolutiva, richiedendo il ricorso alla terapia antisettica e antibiotica (20).

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Fig. 1 - Le cinque fasi dello sviluppo del biofilm (da sinistra a destra): 1) adesione; 2) secrezione di sostanze polimeriche; 3) sviluppo dell’architettura iniziale del biofilm; 4) maturazione in comunità complesse; 5) rilascio di batteri che possono colonizzare nuove sedi [tratta da (20)].

Requisiti generali degli antisettici topici

Gli agenti antimicrobici topici sono sostanze che prevengono o arrestano la crescita o l’azione dei microrganismi, sia attraverso l’inibizione delle loro attività sia attraverso la loro distruzione (3): comprendono agenti antisettici (8) e antibiotici (1).

Gli antisettici topici sono agenti antimicrobici che uccidono, inibiscono o riducono il numero di microrganismi a livello locale, mediante rimozione meccanica, azione chimica o entrambe (3,8). Sono attualmente disponibili varie formulazioni di antisettici, che si distinguono per meccanismo d’azione, rapidità e persistenza dell’effetto, citotossicità, possibilità di generare resistenza e presenza o assenza di colorazione. A differenza degli antibiotici, che agiscono selettivamente su un target specifico, gli antisettici presentano uno spettro d’azione più ampio, comprendente batteri, funghi, virus, protozoi e addirittura prioni. Inoltre, la bassa probabilità di fenomeni di resistenza e di reazioni allergiche rende l’impiego degli antisettici particolarmente sicuro (8).

L’antisettico ideale nella gestione di una ferita cutanea infetta deve avere caratteristiche che permettano di conciliare efficacia terapeutica e tollerabilità tissutale, in modo da favorire il fisiologico processo di riparazione tessutale (3). Per il trattamento delle ferite acute sono necessari un’azione microbicida rapida e profonda e un ampio spettro d’azione; per le ferite croniche lo spettro d’azione deve comprendere i batteri Gram-positivi e Gram-negativi e non ci deve essere il rischio di sviluppo di resistenza, inclusa la resistenza crociata agli antibiotici. In tutti i casi l’antisettico ideale dovrebbe presentare una tollerabilità simile a quella della soluzione fisiologica e, possibilmente, un’azione favorente la guarigione della ferita (17).

Tra i vari antisettici disponibili, lo sviluppo farmaceutico di una soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% ha permesso di ottenere un farmaco in grado di conciliare molto bene le necessità di efficacia e tollerabilità. Tale prodotto ha dimostrato, in test in vitro e sugli animali, un’azione altamente efficace contro batteri vegetativi, spore batteriche, aspergilli, oocisti di criptosporidi e virus. Il ruolo iniziale di questo antisettico era deputato alla lesione diretta della componente microrganismo delle lesioni, ma poi è stato studiato nei suoi effetti clinici in particolare nella stabilizzazione della membrana, e l’inibizione del rilascio di citochine da parte delle mast-cellule ha dimostrato inoltre un’azione antinfiammatoria in assenza di effetti irritanti, citotossici o carcinogenici (17), oltre alla resa instabile delle componenti extracellulari e di matrice del complesso biofilm.

Ruolo degli antisettici topici nella gestione delle lesioni cutanee

Una ferita infetta o colonizzata criticamente deve essere sottoposta a trattamento antimicrobico sistemico per poter andare incontro a guarigione. Nell’ultimo decennio, i problemi di resistenza agli antibiotici hanno portato allo sviluppo di programmi per promuoverne l’uso appropriato (5). In quest’ottica, la prescrizione di una terapia antibiotica sistemica deve essere riservata alle ferite infette di maggiore gravità, mentre nella maggior parte delle lesioni cutanee superficiali, con infezioni lievi, è opportuno favorire l’uso di prodotti antimicrobici topici, preferenzialmente non contenenti antibiotici (5). Le medicazioni antimicrobiche non sono sufficienti a distruggere e a rimuovere il biofilm.

Il biofilm è eterogeneo. Le medicazioni antimicrobiche sono parte di una strategia di prevenzione contro la riformazione del biofilm. Una terapia efficace richiede certamente l’utilizzo di diverse medicazioni. La scelta delle medicazioni va fatta secondo la necessità del momento, in base ai miglioramenti e alla disponibilità del materiale, ma deve essere anticipata dalla preparazione del biofilm.

In letteratura si stanno infatti accumulando evidenze a supporto dell’uso degli antisettici nelle lesioni cutanee infette (22), grazie alla loro efficacia, all’assenza di effetti negativi sul processo di guarigione e alla scarsa tendenza a generare resistenza (2,14). Il principale razionale dell’utilizzo di tali prodotti risiede nell’elevato numero di siti target all’interno della cellula batterica, un più ampio spettro antimicrobico e un minore tasso di sensibilizzazione cutanea oltre ai sempre minori danni cellulari indotti (23). Nel 2016 è stato pubblicato un documento unificato (Position Paper) della BSAC e della EWMA in cui si suggerisce l’uso preferenziale degli antisettici per trattare le lesioni cutanee infette (5).

È quindi ormai riconosciuto che, se non sussiste il rischio di sepsi che richiederebbe il ricorso all’antibiotico-terapia sistemica, l’impiego degli antisettici topici è sufficiente per limitare e risolvere l’infezione. Gli antisettici sono inoltre efficaci nel prevenire l’infezione delle ferite anche negli stadi precedenti la colonizzazione critica. L’impiego degli agenti antisettici per scopi profilattici o terapeutici ha i seguenti obiettivi (17):

prevenzione delle infezioni delle ferite acute (traumatiche, da morso o arma da fuoco),

prevenzione delle infezioni delle ferite post-chirurgiche,

decolonizzazione delle ferite colonizzate da microrganismi multi-resistenti (multidrug-resistant organisms, MDRO),

trattamento di infezioni clinicamente manifeste (incluse quelle con colonizzazione critica),

preparazione della pulizia chirurgica delle ferite croniche nei pazienti ambulatoriali,

preparazione del biofilm all’azione di altri materiali di medicazione avanzati.

La scelta dell’antisettico dipende dalle sue caratteristiche fisico-chimiche peculiari e dalle sue indicazioni specifiche (13). Come illustrato dalla Tabella III (17), un antisettico come la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%, per il quale in letteratura non sono mai stati evidenziati fenomeni di resistenza e che nella forma di soluzione isotonica alla concentrazione di 0,05% mostra un’ottima tollerabilità sul tessuto cutaneo leso, può essere considerato un ottimo alleato nella gestione delle ferite infette, risultando il composto di prima o di seconda scelta per tutte le indicazioni (12).

Soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%: caratteristiche fisico-chimiche e meccanismo d’azione

La soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% è una soluzione antisettica, isotonica, caratterizzata da un elevato grado di purezza, stabilità e istocompatibilità, prodotta per elettrolisi parziale di una soluzione satura di cloruro di sodio (24). Al termine della procedura, la concentrazione di NaOCl è dello 0,05% (pari a 550 ppm o mg/L di cloro attivo) all’interno di una soluzione isotonica (0,9%) di cloruro di sodio a pH 9,5.

TABELLA III - Raccomandazioni per la scelta degli antisettici nel trattamento delle ferite [modificata da (17)]
Indicazione Composto antisettico
Prima scelta Seconda scelta
Ferite con colonizzazione critica, ferite a rischio di infezione PHMB OCT, ipoclorito, argento
Ustioni PHMB OCT, ipoclorito
Ferite traumatiche, da morso, da arma da fuoco PVP-I Ipoclorito
Ferite colonizzate da MDRO o ferite infette OCT/PE OCT, PHMB, argento
Prevenzione delle infezioni delle ferite post-chirurgiche PHMB OCT/PE
Decontaminazione di ferite acute e croniche Ipoclorito, PHMB
Lavaggio peritoneale Ipoclorito
Rischio di esposizione del tessuto SNC Ipoclorito PVP-I
Ferite senza drenaggio Ipoclorito PHMB

MDRO = multidrug-resistant organisms; OCT/PE = octenidina dicloridrato/fenossietanolo; PHMB = poliesanide; PVP-I = iodopovidone; SNC = sistema nervoso centrale.

L’elevato grado di purezza delle materie prime, con le quali vengono preparate le soluzioni antisettiche a base di clorossidante elettrolitico 0,05-0,1%, garantisce la qualità farmaceutica dei prodotti commercialmente disponibili. Il potere disinfettante di tutti i composti che liberano cloro viene espresso come “cloro disponibile”. Il cloro disponibile viene espresso in percentuale per i prodotti solidi, in parti per milione (ppm) per le soluzioni in rapporto alla concentrazione (24).

In acqua, l’ipoclorito di sodio si ionizza dando luogo a Na e allo ione ipoclorito, OCl, che si trova in equilibrio con l’acido ipocloroso, HClO. A pH compreso tra 4 e 7 prevale l’HClO, mentre a pH 9 predomina l’OCl (25,26).

La soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% ha un pH di 9,5. In questa situazione la quantità di acido ipocloroso disponibile è bassa, ma già utile a garantire l’efficacia antisettica e la stabilità della soluzione. Poiché il pH cutaneo è più basso, e anche nelle lesioni cutanee infette in cui risulta essere più alto della cute circostante è compreso tra 6,5-8,5, nel momento in cui la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% entra in contatto con il microambiente della lesione, la quantità di acido ipocloroso indissociato aumenta, con conseguente aumento dell’efficacia microbiologica dell’antisettico (12). L’efficacia microbiologica dei prodotti a base di clorossidante elettrolitico è dovuta all’acido ipocloroso indissociato (HOCl) che possiede potenti proprietà ossidanti e, grazie all’assenza di carica elettrica e alle modeste dimensioni molecolari, si diffonde facilmente attraverso la membrana microbica. Una volta penetrato all’interno della cellula, l’acido ipocloroso espleta la sua azione inattivando diversi gruppi funzionali e in particolare ossidando irreversibilmente i gruppi sulfidrilici delle proteine. Particolarmente sensibili risultano i sistemi enzimatici necessari per il metabolismo delle cellule microbiche, con conseguente blocco del ciclo energetico e morte della cellula. L’efficacia microbiologica viene mantenuta anche a concentrazioni molto basse di cloro disponibile (100 ppm), consentendo di evitare gli effetti citotossici nei confronti dei tessuti su cui si applica (24,27).

Lo spettro d’azione di questi composti comprende batteri Gram-positivi, Gram-negativi, micobatteri, miceti, virus lipofili, virus idrofili e spore (24).

Esperienze cliniche con NaOCl/HOCl riportano la decolonizzazione di infezioni da MRSA (methicillin-resistant Staphylococcus aureus) della cute alla base del cranio, la decolonizzazione da MRSA, Pseudomonas aeruginosa ed Escherichia coli di ulcere diabetiche croniche, così come l’applicazione come adiuvante nel trattamento di infezioni necrotizzanti dei tessuti molli, osteiti e osteomieliti. In pazienti con peritonite, la crescita batterica è stata inibita completamente 3-7 giorni dopo il termine del trattamento con irrigazione due volte al giorno per 9-12 giorni. Anche le complicanze post-chirurgiche a carico della ferita sono risultate ridotte nei pazienti con peritonite. L’irrigazione delle ferite croniche infette è risultata ben tollerata anche in associazione con la terapia a pressione negativa, sia per instillazione che nella preparazione al posizionamento del device (negative pressure wound therapy, NPWT).

La soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% è isotonica rispetto al plasma. L’isotonicità risulta essenziale al fine di garantire la dovuta istocompatibilità nelle sue applicazioni su cute lesa: possedendo la stessa pressione osmotica rispetto ai liquidi biologici, la soluzione elettrolitica di ipoclorito di sodio allo 0,05% non determina condizioni di stress osmotico nei confronti di cellule e tessuti (28).

I prodotti a base di sodio ipoclorito si sono dimostrati efficaci anche per la pulizia sporadica o ripetitiva di ferite traumatiche infette e per il trattamento antisettico ripetitivo delle ferite croniche (17).

Soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%: novità

È una soluzione isotonica contenente ipoclorito di sodio allo 0,05%, indicata per la disinfezione e la pulizia della cute lesa (ferite, piaghe, ustioni etc.) secondo le più recenti normative nell’ambito del wound healing, e in adesione alle attuali linee guida sono state apportate modifiche di produzione e composizione del prodotto tali da conferire, in base a dati sperimentali, profili di sicurezza assai interessanti come:

l’eccipiente stabilizzante/tamponante sodio tetraborato decaidrato, in considerazione di una possibile riduzione del suo futuro utilizzo in Europa, è stato sostituito con bicarbonato di sodio di grado farmaceutico;

l’idrossido di sodio di grado chimico è stato sostituito con soda di grado farmaceutico e questo aumenta la conformità qualitativa rispetto ai requisiti di purezza del farmaco particolarmente importanti in quelli per uso topico;

il mantenimento della stabilità stechiometrica è assicurato per molti mesi e nei confronti della luce e della variabilità della temperatura grazie all’adozione di protezioni di alluminio;

la stabilità stechiometrica della nuova formula è rimasta invariata in condizioni normali (30 mesi in confezionamento integro), è invece aumentata in condizioni di stress termico (>6 mesi a 40°C).

Soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%: efficacia clinica e tollerabilità

Efficacia

L’efficacia battericida è stata convalidata anche in vitro sulla base di protocolli standardizzati di attività contro i germi Gram-positivi e Gram-negativi, sia di origine ospedaliera che extra-ospedaliera (Tab. IV) (29,30).

All’attività battericida si affianca un’attività rilevabile come statisticamente efficace nei confronti dei micobatteri (in particolare contro Mycobacterium smegmatis) e virus (Poliovirus, Herpes simplex tipo 1, virus influenzale, virus dell’epatite A, B, C e HIV-1) (Tab. V) (30).

Per quanto riguarda l’attività microbicida in vivo, in ulcere cutanee croniche criticamente colonizzate l’impiego della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% è risultata efficace sia tramite l’applicazione per 10 minuti di garza imbevuta, sia tramite irrigazione a caduta sulla lesione (31).

TABELLA IV - Attività battericida della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% su vari ceppi [modificata da (30)]
Germe Concentrazione sospensioni contaminate (CFU/ml) Percentuale di abbattimento Tempo (min)
Staphylococcus 108 100 1
Streptococcus faecalis 108 100 1
Micrococcus luteus 108 100 1
Escherichia coli 108 100 1
Klebsiella pneumoniae 108 100 1
Proteus vulgaris 108 100 1
Pseudomonas aeruginosa 108 100 1
TABELLA V - Attività virucida della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% su vari ceppi virali [modificata da (30)]
Virus Concentrazione provata (% prodotto) Tempo di inattivazione
Poliovirus 0,75 15 min
Herpes simplex tipo 1 3 15 min
Influenza 1 5 min
Epatite A 1,5 30 sec
Epatite B 1,5 30 sec
Epatite C 3 5 min
HIV-1 1,5 30 sec

Varie esperienze cliniche hanno confermato l’efficacia antisettica della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% (12):

Una sperimentazione su 60 pazienti con ferite superficiali da ustioni, post-traumatiche, lesioni su base vascolare o da decubito, ad eziologia mista, è stata effettuata al fine di confrontare il gruppo trattato con l’antisettico a base di soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% tamponato con quello trattato con una crema a base di sulfadiazina d’argento. Durante il trattamento gli score delle lesioni sono migliorati e i test microbiologici si sono negativizzati nel 100% dei pazienti trattati con l’antisettico a base di soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% tamponato e nell’87% dei soggetti trattati con il farmaco di riferimento (differenza statisticamente significativa). Non si sono riscontrati segni di intolleranza locale e il giudizio soggettivo sulla tollerabilità è risultato statisticamente migliore nei pazienti trattati con sodio ipoclorito (30).

Uno studio clinico randomizzato, condotto su 40 pazienti dimessi dal reparto di chirurgia generale o trattati chirurgicamente ambulatorialmente, ha confrontato l’efficacia di una soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% sulla disinfezione delle ferite post-operatorie rispetto allo iodopovidone 10%. La progressione della guarigione durante le settimane (dalle 2 a 4 settimane) di follow-up, valutata per le ferite pulite fino alla rimozione della sutura e per le ferite con deiscenza fino alla completa cicatrizzazione, è risultata sovrapponibile nei pazienti trattati con soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% e in quelli trattati con iodopovidone 10%: l’utilizzo della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% rappresenta quindi una valida alternativa allo iodopovidone 10% nella disinfezione post-operatoria delle ferite, anche di quelle cosiddette difficili (32).

Uno studio randomizzato, controllato, condotto su 10 pazienti affetti da ulcera sacrale da pressione (stadio III-IV), ha confrontato l’efficacia sul processo di cicatrizzazione di sodio ipoclorito elettrolitico allo 0,05% rispetto allo iodopovidone 10%. Dopo 2 settimane di follow-up, è stata osservata una sterilizzazione della lesione in 3 pazienti e una riduzione della carica batterica nei restanti 2, sia nel gruppo trattato con iodopovidone 10% sia in quello trattato con sodio ipoclorito elettrolitico allo 0,05%. Di contro, dopo 6 settimane di follow-up, si è osservata una maggiore riduzione delle dimensioni delle ulcere nel gruppo trattato con sodio ipoclorito elettrolitico allo 0,05% (da 848 mm2 al basale a 388 mm2 al follow-up) rispetto al gruppo trattato con iodopovidone 10% (da 842 mm2 al basale a 585 mm2 al follow-up) (p = 0,02 tra i due gruppi). Nessun paziente trattato ha presentato effetti avversi locali o sistemici. I dati suggeriscono che, mentre i due antisettici hanno presentato un’analoga efficacia microbicida, l’ipoclorito di sodio elettrolitico allo 0,05% si è associato a una maggiore rapidità di cicatrizzazione delle lesioni rispetto allo iodopovidone 10% (33).

Uno studio condotto su 10 pazienti con lesioni cutanee croniche a eziologia nota, non ischemiche, né necrotiche, né infette, ha valutato l’efficacia della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% rispetto a una soluzione superossidante, sia in termini di debridement sia in termini di abbattimento della carica batterica. I risultati ottenuti dopo 4 settimane di osservazione hanno dimostrato una netta superiorità del trattamento con la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% rispetto a quello con superossido in termini clinici (riduzione del dolore) e laboratoristici (riduzione della carica batterica) (Fig. 2) (34). I risultati di questo studio suggeriscono che soluzioni antisettiche a bassa aggressività cellulare, come la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%, sono assolutamente efficaci nel completamento della wound bed preparation (WBP) e nell’accelerare i tempi di riparazione e dovrebbero quindi essere utilizzate preferenzialmente sia per il benessere del paziente, sia per il costo estremamente limitato (34).

Una serie di casi clinici recentemente pubblicati (35) dimostra infine che nella gestione di ulcere cutanee croniche difficili, in cui la preparazione del letto di ferita ha un ruolo centrale, inserire un antisettico di provata efficacia come la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% associata a una soluzione acido-ossidante a base di acido ipocloroso, rappresenta un valido approccio in tutte le condizioni, soprattutto nella gestione del biofilm in cui si rende necessario potenziare l’attività di controllo della carica batterica. La soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% potenzia infatti il processo di WBP ed è complementare all’azione della soluzione acido-ossidante a base di acido ipocloroso a elevata purezza: quest’ultima può privare le cellule batteriche della protezione fornita dal biofilm sul letto di lesione e predisporle all’azione di eliminazione successiva operata dalla soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%. L’assenza di istolesività della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% si rende anche utile in tutti quei casi in cui il debridement debba essere meccanico e più invasivo (35).

Ulteriori evidenze indicano come l’ipoclorito di sodio presenti un più ampio spettro d’azione in confronto a clorexidina, rispetto alla quale risulta più efficace nei confronti di virus e spore (28).

Inoltre, pur presentando uno spettro d’azione sostanzialmente sovrapponibile a quello di iodopovidone, l’ipoclorito di sodio allo 0,05% offre una serie di vantaggi rispetto a quest’ultimo (28):

assenza di colorazione della lesione,

assenza di interferenza con il metabolismo degli ormoni tiroidei,

è una soluzione isotonica,

è una soluzione istocompatibile,

assenza di segnalazioni di fenomeni di ipersensibilità o di resistenza microbica,

tempi di efficacia sulle MIC (Concentrazione Minima Inibente) più rapidi.

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Fig. 2 - Risultati clinici e di laboratorio nei pazienti trattati con soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% o soluzione superossidante [modificata da (34)]. WBP = wound bed preparation.

Pertanto, in considerazione delle evidenze scientifiche disponibili e del favorevole rapporto efficacia/tollerabilità, le linee guida inerenti al corretto utilizzo degli antisettici indicano l’ipoclorito di sodio allo 0,05% come una delle soluzioni di riferimento nella disinfezione della cute lesa (28).

Tollerabilità

La tollerabilità è stata valutata tramite studi in modelli animali, che hanno dimostrato che il lavaggio ripetuto di una ferita con la soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% non interferisce né con il processo di cicatrizzazione né con i meccanismi coinvolti nella riepitelizzazione della ferita e non determina quindi nessun rallentamento della velocità di guarigione della lesione: in particolare non è stata evidenziata alcuna differenza della percentuale di cellule vitali rispetto alla soluzione salina (Fig. 3) (29).

Inoltre, in un modello in vitro di pelle umana ricostituita, il trattamento con soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% non ha determinato alcuna variazione significativa del rilascio di LDH (espressione di danno cellulare) o dell’espressione genica di tumor necrosis factor (TNF)-α (citochina proinfiammatoria).

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Fig. 3 - Analisi citometrica della vitalità cellulare [modificata da (29)].

La tollerabilità della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% nell’uomo è stata verificata tramite vari studi clinici: in particolare, in una sperimentazione multicentrica non controllata, condotta su 74 soggetti adulti di ambo i sessi aventi la necessità di una disinfezione locale di ferita, il trattamento con soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05%, somministrato per irrigazione (36% dei casi) o mediante tampone (64% dei casi) 1-3 volte al giorno per un tempo variabile da 3 a 15 giorni, ha ottenuto che solo circa l’11% dei pazienti lamentasse effetti collaterali, comunque lievi e fugaci, che non hanno provocato alterazioni o interruzioni dell’applicazione. In alcuni casi la tollerabilità della terapia a base di soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% tamponato è risultata migliore di quella del trattamento di confronto (ad es. sulfadiazina d’argento) (12).

Conclusioni e prospettive future

L’infezione è una delle complicanze più frequenti delle ferite e rappresenta un importante fattore in grado di ritardarne il processo riparativo. Gli antisettici sono diventati fondamentali nell’iniziare il processo di riparazione del fondo della lesione e da loro dipendono tutte le importanti interazioni sul pH, la temperatura, la carica elettrica e naturalmente il biofilm. Stanno diventando di estrema utilità nella pratica clinica per limitare allo stretto necessario l’utilizzo degli antibiotici nella gestione delle ferite. Quando applicati nei tempi e alle concentrazioni appropriate, alcune classi di antisettici possono fornire un importante strumento per limitare l’infezione e favorire il processo di guarigione della ferita.

La soluzione di ipoclorito di sodio allo 0,05% ha dimostrato in molti studi clinici di poter svolgere un ruolo chiave nella gestione delle ferite cutanee garantendo efficacia antisettica e tollerabilità, ed è pertanto indicata dalle relative linee guida come una delle soluzioni di riferimento nella disinfezione della cute lesa. La nuova formula della soluzione elettrolitica di sodio ipoclorito allo 0,05% rappresenta un ulteriore miglioramento dal punto di vista qualitativo per il paziente in tutti gli ambiti di utilizzo nella pratica clinica.

Disclosures

Conflict of interest: The author declares no conflict of interest related to this article.

Financial Support: This publication was made possible by an unconditional grant by Angelini Pharma SpA.

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