Image

AboutOpen | 2020; 7(1): 58–61

ISSN 2465-2628 | DOI: 10.33393/abtpn.2020.2127

CASE REPORT

Image

Il coinvolgimento attivo della persona presa in carico dall’ambulatorio infermieristico e a domicilio nel contesto territoriale del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste

Distretto Sanitario n. 1, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano-Isontina (ASUGI), Trieste - Italy

The active involvement of the person being treated by the nursing clinic and with home-based care in the local context of local District n. 1, of the ASUGI of Trieste

Introduction: This contribution describes four different experiences of active engagement along the care pathway of people with chronic illness, performed at home and at the nursing clinic of the ASUGI Health District n. 1 in Trieste by a local care team.

Case description: The Home Nursing Service, named SID, of the Local Districts of Trieste is based on the principle of improving the quality of life of citizens by providing adequate home care in the logic of continuity of care, consistently with the needs of the person, after a multidimensional assessment and the construction of a personalized care plan, aimed at increasing engagement and participation.

Conclusions: This experience contributed to the cultural growth of professionals and to the systematic introduction of the PHE-S® evaluation tool in the home setting, improving also their relational skills.

Keywords: Chronic illness, Continuity of care, Home-based care, Nursing, Patient centred care

Corresponding author
Raffaela Fonda
Via traversa Bagni 17
Monfalcone
34074 Gorizia - Italy
raffaela.fonda@asugi.sanita.fvg.it

© 2020 The Authors. This article is published by AboutScience and licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International (CC BY-NC 4.0). Any commercial use is not permitted and is subject to Publisher’s permissions. Full information is available at www.aboutscience.eu.

Introduzione

Il Servizio Infermieristico Domiciliare, SID, dei Distretti Sanitari di Trieste si fonda sul principio di migliorare la qualità di vita dei cittadini fornendo cure domiciliari adeguate nella logica della continuità assistenziale, in coerenza con i bisogni della persona, dopo una valutazione multidimensionale e la costruzione di un piano assistenziale personalizzato.

Uno degli obiettivi principali dell’assistenza infermieristica è la presa in carico della persona e della famiglia con lo scopo di promuovere il recupero dell’autonomia attraverso azioni di istruzione e di educazione della persona e di facilitare la costruzione di una rete assistenziale idonea a rispondere alle sue necessità, seguendo il modello del Nursing Abilitante per contrastare la cultura prestazionale e l’istituzionalizzazione (1).

Oggi, infatti, i professionisti sentono la necessità di rispondere a nuove sfide culturali, poste dal nuovo ruolo di centralità che i malati rivestono, promuovendo il coinvolgimento attivo e l’engagement della persona nel piano di cure. La costruzione di una rete di sostegno a favore del benessere della persona e della sua famiglia non può prescindere dalla partecipazione attiva del malato, che diventa il protagonista della gestione della propria terapia e il primo responsabile delle scelte relative alla propria salute.

Nel presente contributo vengono descritte quattro esperienze di coinvolgimento attivo nel processo di cura di persone con malattia cronica, seguite a domicilio e presso l’ambulatorio infermieristico del Distretto Sanitario n. 1 dell’ASUGI di Trieste da un team di assistenza territoriale.

I casi descritti, anonimizzati e con nomi di fantasia, sono stati scelti in base ad alcune caratteristiche specifiche quali: l’età matura delle persone, la storia di vita con la presenza di una malattia cronica invalidante e di lunga durata e la presenza di un team di professionisti multidisciplinare e multiprofessionale sensibilizzato e formato al tema del coinvolgimento attivo della persona nel processo assistenziale. Altri fattori comuni sono stati: la presenza di caregiver informali e della famiglia e una buona rete sociale, che si sono dimostrate essere una leva per la promozione dell’engagement (2).

Caso clinico 1

La signora Luisa ha 51 anni, è affetta da artrite reumatoide in forma aggressiva e da lupus da circa 30 anni e non lavora a causa di gravi malformazioni alle mani e ai piedi provocate dalla patologia cronica.

Ha una rete di supporto formale abbastanza efficace e riceve dal Servizio Sociale del Comune un supporto economico alla vita indipendente.

In data 30/11/16 subisce un intervento chirurgico di resezione polmonare atipica presso la chirurgia toracica dell’ospedale di Trieste, con tecnica Fast-Track, e viene dimessa quattro giorni dopo.

La signora viene presa in carico dal Servizio Infermieristico Domiciliare del Distretto n. 1 di Trieste in regime di continuità assistenziale tra ospedale e territorio per monitorare gli esiti dell’intervento e prevenire le complicanze con un Piano Assistenziale Individuale.

Oltre alla valutazione infermieristica con scheda Valgraf, viene somministrata la scheda PHE-S® (3) per la valutazione del patient engagement, ottenendo un punteggio pari a 2.

Il percorso postoperatorio è difficile per Luisa per vari motivi: vive sola con la madre di 79 anni, affetta, a sua volta, da artrite reumatoide e con problemi cognitivi, ed è priva di una persona di riferimento a parte qualche amica e una colf per venti ore a settimana. È in terapia con farmaci oppioidi per dolori al torace e manifesta ansia rispetto agli esiti dell’intervento e alla diagnosi incerta. L’ansia e il dolore rendono la donna incapace di autogestirsi, nonostante sia affetta da una malattia cronica da vari anni. Non riesce a interagire efficacemente con i clinici e a essere autonoma nella gestione della terapia antidolorifica, non ha capacità di evitare comportamenti a rischio ed è costantemente preoccupata per il suo stato di salute.

Il piano personalizzato prevede controlli del medico di medicina generale e dell’infermiera del Servizio Infermieristico Domiciliare, per prevenzione delle complicanze ed educazione sanitaria all’uso dei farmaci e alla gestione dei percorsi diagnostici terapeutici. Inoltre, ha continuato a essere seguita dal reumatologo ospedaliero di fiducia e ha iniziato una terapia sperimentale antireumatica. Anche la sperimentazione ha prodotto incertezza e ansia sugli esiti. Per questo motivo, è stato attivato un percorso con la psicologa di Distretto per supportare la persona in questo mare di emozioni negative che la rendono incapace di gestire il suo stato di salute, con lo scopo di fornirle strumenti di elaborazione e accettazione della malattia.

In data 12/6/17, alla fine del percorso, è stata effettuata una rivalutazione con scala PHE-S® osservando un innalzamento del livello di engagement, pari a 3.

Durante questi 6 mesi, l’infermiera, in collaborazione con il medico di medicina generale e la psicologa, ha lavorato per aiutare la paziente a sentirsi più responsabile del suo stato di salute, supportandola nell’identificare i punti di riferimento da contattare rispetto ad ogni patologia e nel definire obiettivi e nell’individuare strumenti per gestire in modo efficace la sua salute.

È emerso che la gestione dei farmaci non era efficace, infatti Luisa tendeva ad assumere quantità elevate di antidolorifici; messa al corrente delle differenti opzioni terapeutiche è riuscita a svezzarsi dagli oppiacei e a gestire il dolore in modo adeguato con farmaci antinfiammatori.

Infine, si è posta molta attenzione nel supportare la capacità di mantenere il cambiamento dello stile di vita nonostante il livello elevato di stress. Sono state insegnate tecniche per gestire la rabbia ed è stata potenziata la capacità di prevenire e ridurre sintomi e problemi. La signora è riuscita a gestire la progressione della sua patologia cronica con padronanza, evitando accessi impropri ai servizi.

Caso clinico 2

Anna è una donna di 47 anni, vive con il figlio in un piccolo appartamento in un paese carsico, lavora nel campo della ristorazione e, nonostante una patologia genetica familiare che provoca delle alterazioni scheletriche, cardiologiche, oculari e cutanee, vive una vita serena e tranquilla. Ha una buona rete familiare e informale che supporta la famiglia.

Viene seguita da un centro di riferimento specifico per patologia rara a Bologna e si sottopone a controlli clinico-strumentali periodici e regolari.

Nel gennaio del 2017 esegue un intervento chirurgico di piede torto congenito presso l’Istituto Rizzoli. Durante la degenza, a seguito di un dolore retrosternale e di una sincope, viene sottoposta a un intervento di endoprotesi di aorta per dissezione acuta.

Al rientro a casa, nel marzo del 2017, deve proseguire i controlli cardiologici ed eseguire la fisioterapia per gli esiti di intervento al piede e regolari controlli ematici.

Non essendo autonoma nella deambulazione, viene presa in carico dai servizi del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste.

Anna sembra, in un primo momento, una persona collaborante al piano assistenziale predisposto, ma, dopo un paio di interventi per controllare gli esiti della ferita al piede, si intuisce che qualcosa non funziona.

Si somministra la scheda PHE-S® per una valutazione dell’elaborazione del vissuto della malattia, riscontrando un punteggio di 2,5. Parlando con lei emerge una profonda difficoltà ad accettare l’intervento al cuore, riferisce di sentirsi bloccata e ripete spesso: “Sono in black out”.

Questa incapacità di reagire è evidente sul piano pratico: non controlla la pressione arteriosa come suggerito dalle dimissioni ospedaliere, non si preoccupa dei risultati delle analisi diagnostico-strumentali, ma è, invece, molto concentrata sul piede che le provoca molto dolore.

In questo caso, il piano assistenziale individuale ha previsto un ciclo di fisiokinesiterapia per l’arto inferiore, interventi infermieristici di monitoraggio dei parametri vitali e del dolore, educazione terapeutica, controlli cardiologici ed esami ematochimici.

Per lo stato di “black out”, si è proposto l’intervento di una psicoterapeuta del Distretto Sanitario, per cercare di attivare risorse atte a superare lo shock dell’intervento chirurgico al cuore.

La vita è cambiata radicalmente per questa giovane donna, non può rientrare presso la sua sede lavorativa, l’attività in piedi per molte ore non è consentita per il suo stato di salute e arriva, quindi, il licenziamento. Un colloquio con l’assistente sociale si rende necessario per capire come indirizzare Anna alle varie possibilità di sostegno economico per lei e la sua famiglia.

I valori della PHE-S® dopo 4 mesi di interventi sono incrementati fino a raggiungere un punteggio pari a 3.

Lentamente e con il supporto dell’infermiera e della fisioterapista, Anna inizia ad avere un ruolo attivo nella gestione della sua salute.

Si misura costantemente la pressione arteriosa, che si mantiene nei valori consigliati dal cardiologo, si sottopone agli accertamenti di controllo, inizia a riconoscere gli effetti di ciascuna terapia, riesce a fare spostamenti munita di stampelle in autonomia e sostituisce il medico di medicina generale che è andato in pensione con un professionista attivo e collaborante.

Infine, riesce a mettere in atto e a mantenere cambiamenti dello stile di vita relativi al suo stato di salute: segue una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, si iscrive alle liste di collocamento speciali per persone con ridotte capacità e inizia a frequentare corsi di formazione per poter avere la possibilità di esercitare un nuovo lavoro.

Caso clinico 3

Gabriele è un uomo di 53 anni, affetto dal 2004 da malattie croniche altamente invalidanti: la distrofia muscolare di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2.

Vive in un piccolo borgo di Trieste in una zona periferica, con la madre anziana, in quanto, a causa delle sue patologie e di un basso livello di scolarità, non è mai riuscito a emanciparsi e a trovare un’occupazione.

Le condizioni fisiche dell’uomo sono molto peggiorate nel corso degli ultimi anni, limitando la sua funzione motoria, fino al ricorso, nell’ultimo anno, all’utilizzo di una carrozzina per potersi muovere. All’inizio del 2017, la madre di Gabriele muore per una malattia improvvisa. Nonostante la presenza del fratello e di alcuni amici, Gabriele si sente solo e si lascia andare. Non si controlla più il diabete, cade più volte all’interno del proprio domicilio, non esce di casa per la presenza di barriere architettoniche importanti e i suoi deficit motori peggiorano ulteriormente. La presa in carico da parte dei servizi territoriali del Distretto n. 1 dell’ASUGI di Trieste si articola in una valutazione da parte di un’equipe composta dall’infermiera, dal medico di medicina generale, dal fisioterapista e dall’assistente sociale per l’attivazione della rete e di un piano assistenziale individuale.

La costruzione del piano assistenziale in base ai bisogni e alla collaborazione di Gabriele prevede l’intervento del fisiatra per un programma riabilitativo e del fisioterapista per la fornitura di ausili adeguati alle necessità della persona. Un letto articolato, un materasso antidecubito e una carrozzina hanno permesso la mobilità sicura all’interno della casa, ma l’intervento più significativo è stato la fornitura di uno scendiscale e di una carrozzina elettrica specifica per uscire dall’abitazione e superare le barriere architettoniche. L’assistente sociale è intervenuta con l’attivazione di un progetto di sostegno al reddito e il contributo per una badante per venti ore alla settimana, per aiutare l’uomo in tutte le attività della vita quotidiana.

Nella valutazione multidimensionale con scheda Valgraf, prevista per la presa in carico, è stata inserita anche la valutazione con la scala PHE-S®, che ha rilevato un valore basso di engagement pari a 2.

La rivalutazione a 4 mesi di distanza dopo la costruzione della rete assistenziale ha permesso di evidenziare un innalzamento di mezzo punto, dimostrando che Gabriele ha compreso il suo ruolo attivo nel processo di cura e ha messo in atto tutte le competenze acquisite per gestirlo in modo ottimale e in autonomia. Ora si muove con la sua carrozzina elettrica in autonomia per le vie del paese, si sottopone ai controlli per il diabete in modo costante con valori delle glicemie stabili nei range previsti dalla diabetologa e mantiene uno stile di vita adeguato alle sue patologie.

Caso clinico 4

Tiziana è una donna di 61 anni e vive in un piccolo paese, con il marito. Ha due figli adulti e sposati e quattro nipotini e una rete familiare presente e di supporto nei momenti di difficoltà.

Giunge al nostro ambulatorio infermieristico distrettuale dell’ASUGI di Trieste Distretto n. 1 per la presenza di due lesioni vascolari molto vaste agli arti inferiori.

Il primo incontro è fondamentale per accogliere Tiziana e ascoltare e comprendere i suoi bisogni e la sua storia. Fin dall’infanzia ha lottato con problemi di obesità e a nulla sono serviti le diete e i cambiamenti di stile di vita. Inoltre, è affetta da diabete mellito di tipo 2 e da fibrillazione atriale di recente insorgenza, con esiti di embolia polmonare risolta con un ricovero in urgenza presso l’ospedale cittadino.

Viene istituito per lei un piano assistenziale integrato di cura con valutazioni periodiche da parte del chirurgo vascolare e della diabetologa e, ogni secondo giorno, vengono eseguite medicazioni agli arti inferiori presso l’ambulatorio infermieristico.

La valutazione complessiva della persona, nel mese di giugno 2017, viene arricchita con la somministrazione della scheda PHE-S® per valutare il vissuto di malattia, ottenendo un punteggio pari a 2.

Per aiutare Tiziana nel percorso di cura, si decide di usare una metodologia clinico-assistenziale basata sulla competenza comunicativa: la medicina narrativa. Tiziana si impegna a scrivere ogni giorno i suoi sintomi, le sue sensazioni e i suoi parametri su un diario.

Lo strumento risulta essere essenziale per comprendere l’efficacia della terapia topica e dell’educazione sanitaria fornita, aiutando la donna a essere partecipe e responsabile nel processo di cura.

Nel periodo di tre mesi le lesioni agli arti inferiori, dopo una terapia con antibiotici, si riducono notevolmente, i dolori sono controllati, i valori glicemici sono nella norma, l’indice di coagulazione nel range è adeguato e il peso, finalmente, è in calo (da 97 kg a 91 kg).

Tiziana, incoraggiata dalla nostra presenza e dalla nostra disponibilità, continua le medicazioni con una frequenza minore (due volte a settimana) e prosegue nel suo resoconto giornaliero con il diario di vita e di salute. La scrittura diventa terapeutica e di ricostruzione della propria vita.

Nel mese di settembre, finalmente la guarigione è completa, gli arti inferiori non presentano più lesioni e Tiziana porta con piacere le calze elasto-compressive per prevenire la comparsa di recidive. Si è riappropriata della sua vita con una consapevolezza che prima non aveva e questo risulta evidente anche dalla valutazione finale del livello di engagement, innalzatosi a 3.

Discussione

Dai quattro casi clinici narrati emergono diverse considerazioni di ordine clinico e organizzativo. L’organizzazione dei servizi territoriali che utilizza il modello della Presa in Carico, consente oltre alla promozione del benessere e della salute, il raggiungimento degli obiettivi definiti nel piano assistenziale individuale in quanto, nel lavoro d’equipe i diversi saperi del team dei professionisti interagiscono tra loro e mettono in campo un potenziale terapeutico che garantisce l’unitarietà de messaggi e delle risposte.

Dal punto di vista clinico, i risultati ottenuti in termini di esiti di salute sono importanti: la guarigione delle lesioni agli arti inferiori nel caso di Tiziana, il miglioramento dei parametri vitali nel caso di Anna, il mantenimento di valori glicemici stabili nel caso di Gabriele e una diminuzione del dolore, con una gestione ottimale dei farmaci da parte di Luisa. Inoltre, tutte le persone prese in carico hanno messo in atto cambiamenti dello stile di vita adeguati alla patologia cronica e non hanno avuto necessità di ulteriori ricoveri ospedalieri. Tutto questo è stato possibile grazie all’elaborazione del vissuto di malattia e al raggiungimento della consapevolezza che, anche nei momenti di crisi che si presentano nel corso della vita, si possono individuare opportunità di miglioramento identificando risorse interne idonee a gestire i problemi di salute. La capacità di relazionarsi in modo adeguato con le strutture sanitarie di appartenenza ha permesso di avere un ruolo attivo e di definire meglio il percorso di cura ai protagonisti dei casi clinici analizzati. L’operato svolto dallo staff sanitario ha permesso di valorizzare e rinforzare le competenze di queste persone nell’assumere un ruolo proattivo verso la propria salute, consentendo loro di avere una buona qualità di vita e di prevenire eventuali ricadute.

Dal punto di vista organizzativo, l’esperienza maturata nel campo dell’engagement dal team assistenziale in particolare con queste persone ha portato a una crescita culturale dei professionisti e all’introduzione sistematica dello strumento di valutazione dell’engagement PHE-S® nel setting domiciliare, al rafforzamento delle competenze di natura relazionale e all’avvio di un processo di miglioramento continuo, con interventi di formazione specifica per la promozione dell’engagement.

Disclosures

Conflict of interest: The authors declare no conflict of interest.

Financial support: This research received no specific grant from any funding agency in the public, commercial, or not-for-profit sectors.

Bibliografia

  • 1. Mislej M. Nursing Abilitante, l’arte del compromettersi con la presa in carico, Roma Carocci Faber. 2006;88:91.
  • 2. Conferenza di consenso 2017. Raccomandazioni per la promozione del Patient Engagement in ambito clinico assistenziale per le malattie croniche.
  • 3. Graffigna G, Barello S, Bonanomi A, et al. Measuring patient engagement: development and psychometric properties of the Patient Health Engagement (PHE) scale. Front Psychol. 2015;6:274.